sabato 26 aprile 2014

Impariamo ad essere Mindful.

Oggi viviamo in una società frenetica, dove non si ha tempo a sufficienza per la riflessione su di sé, per intraprendere relazioni, per condividere sguardi ed emozioni. Il nostro cervello e il nostro corpo hanno bisogno anche di questo per crescere in modo sano ed equilibrato.  Invece, facendoci coinvolgere dallo stress, dall’ansia della vita di tutti i giorni, passiamo gran parte del nostro tempo a non prestare attenzione al momento presente, finendo, in tal modo, per scordarci chi siamo, dove siamo e cosa stiamo facendo.
Ellen Langer, spiega cosa vuol dire essere mindful:“Quando siamo mindful, noi implicitamente o esplicitamente osserviamo una situazione da una molteplicità di prospettive, vediamo come nuove le informazioni presenti nella situazione, stiamo attenti al contesto in cui stiamo, percependo le informazioni e, alla fine, creiamo nuove categorie di comprensione della situazione”
Si tratta di uno stato mentale che ha a che fare con la consapevolezza, che emerge attraverso il prestare attenzione allo svolgersi dell’esperienza momento per momento: con intenzione, nel presente e in modo non giudicante. 
Essa si limita a registrare e lasciar fluire l’esperienza presente, così come si sviluppa, accogliendola con limpidezza, curiosità, e apertura. Accogliere l’esperienza con attenzione non giudicante, da un lato, ci rende meno coinvolti e reattivi nei confronti degli eventi, e dall’altro, rende possibile un atteggiamento più benevolo nei confronti di se stessi.
Il suo scopo è divenire attenti e presenti a ciò che la propria mente sta vivendo. 
Si tratta, dunque, di coltivare la capacità di accogliere i propri stati mentali per quelli che sono.
La consapevolezza mindful migliora il nostro modo di sintonizzarci con noi stessi, creando benessere in noi e nelle persone che ci circondano. Daniel Siegel descrive la mindfulness come un “essere in empatia con se stessi”, una condizione di sintonizzazione intrapersonale, in cui le esperienze nel qui ed ora vengono semplicemente accettate per quelle che sono e riconosciute, con gentilezza e rispetto. Si tratta di imparare a riconoscere le attività della mente e del corpo, ovvero a  rimanere presenti osservando il flusso di sensazioni, immagini, sentimenti e pensieri da cui la mente e il corpo sono attraversati.
Diversi studi scientifici hanno dimostrato che applicazioni specifiche della mindful migliorano la nostra capacità di regolare le emozioni, di contrastare la disregolazione emotiva, di migliorare i pattern di pensiero e di ridurre gli assetti mentali ed è un fattore risolutivo nel darci resilienza per affrontare le sfide che si presentano nella vita di ogni giorno. 
Essere consapevoli nelle nostre vite è un’abilità che possiamo imparare; essere mindful è uno stato di consapevolezza che ci permette di essere flessibili e recettivi e di avere presenza: “Io sono qui”
Concludo con una frase di Kabat-Zinn (Jon Kabat-Zinn, "Vivere momento per momento”) che scrive: “Come la superficie del mare si increspa quando soffia il vento, così anche la mente tende ad agitarsi e a divenire reattiva in presenza di turbolenze esterne. Ma se scendi quattro o cinque metri sotto la superficie del mare trovi solo un lievissimo movimento: a quella profondità l'acqua è calma anche quando la superficie è tempestosa”.

Dott.ssa Stefania Alfano
Psicologa-Psicoterapeuta

mercoledì 23 aprile 2014

Il Peso del Corpo

" Cosa accade quando il corpo diventa l'oggetto delle Nostre Emozioni più forti?
Oggetto d'Amore, o all'opposto d'odio?
Se il divario tra il corpo che desidereremo avere e quello reale è troppo grande, il corpo finisce per rappresentare soltanto "peso" e il suo controllo continuo diventa lo strumento raffinato di una violenta manipolazione che, frequentemente, porta ai disturbi del comportamento alimentare.

Le persone con disturbo alimentare pongono eccessiva enfasi sulla forma e sul peso del proprio corpo, hanno una visione distorta del corpo, e un disturbo dello schema corporeo (è il risultato delle elaborazioni che il cervello compie in continuazione rispetto alle informazioni che gli arrivano dall'esterno e dall'interno del corpo stesso).

Come diceva Freud, abbiamo un "Io Corporeo" come primo livello di conoscenza di Noi stessi. Le persone con tali disturbi hanno una distorta percezione del corpo nello spazio e nel tempo, stimando in modo non corretto il proprio corpo. Notiamo che più è distorto lo schema corporeo e più grande è il problema. "





Introduzione Della Mia Tesi di Laurea dal Titolo:
" Terapia Cognitivo Comportamentale Ambulatoriale dei Disturbi Alimentari"
Anno Accademico 2009/2010

Dott.ssa Guerrera Mariacarmela
Biologa Nutrizionista

Fame Emotiva o Fame Fisiologica!?

Quante volte, quando il nostro umore era giù o semplicemente per noia, abbiamo ceduto alle lusinghe degli alimenti che più ci piacciono? Sembra proprio che quel tale alimento sia lì solo per noi: è nel preciso istante che partoriamo questo pensiero che la tentazione vince sulla nostra volontà. Ed è questa una sintesi efficace del tormentato rapporto tra cibo ed emozioni.

C’è chi intende questo atto come un gesto punitivo o d’amore verso se stesso, o anche un modo per stare (meglio) in compagnia. Pur senza vivere un rapporto patologico con l’alimentazione, capita a molti di usare il cibo per far fronte a stati emotivi negativi. La cosiddetta fame emotiva risponde ad ansia, irritabilità, stress. Ma fateci caso: la fame emotiva impedisce di gustare realmente ciò che si mangia; e anzi (si) alimenta (di) sensi di colpa e sentimenti di bassa autostima.

Il cibo dovrebbe tornare occasione di convivialità e soddisfazione. Esempio tipico: il pranzo della domenica di tanto tempo fa. Chi non ricorda qualche prelibatezza che gli preparava la nonna?
Per non “mangiare le nostre emozioni” è necessario riflettere e fermarsi: basta davvero poco per resistere alla tentazione impulsiva. La fame fisiologica nasce dal bisogno di nutrirsi, mentre la fame emotiva nasce dal desiderio di sopprimere un’emozione negativa, insorge in genere in modo improvviso e diventa in breve incontrollabile, mentre la fame fisiologica si instaura gradualmente ed è preceduta da segnali, come il brontolio dello stomaco, che aumentano progressivamente di intensità.

Nella fame emotiva si desidera un particolare alimento, spesso purtroppo si tratta di alimenti senza proprietà nutritive nobili (il cosiddetto “junk food”, cibo spazzatura, come patatine, merendine, bibite zuccherate), che tuttavia hanno la proprietà di gratificarci.
La prova che non si tratta di fame reale, fisiologica, è data dal fatto che il tentativo di sostituire il “cibo spazzatura” con un alimento sano, non produce l’effetto desiderato, né tanto meno il senso di sazietà. La fame emotiva induce un comportamento alimentare automatico, la persona non si rende conto di consumare in poco tempo una grande quantità di quell’alimento (ad esempio un’intera scatola di biscotti), senza nemmeno provarne il gusto, mentre la scelta in caso di fame fisiologica è sempre consapevole e aperta a diverse possibilità. Dopo avere mangiato per fame emotiva spesso ci si sente in colpa, mentre ciò non accade in caso di fame fisiologica. Nella fame emotiva il senso di sazietà non viene percepito nonostante la quantità di cibo ingerito.






"A volte è difficile fare la scelta giusta perché o sei roso dai morsi della coscienza o da quelli della fame" . Cit. Totò


Dott.ssa Guerrera Mariacarmela
Biologa Nutrizionista

martedì 15 aprile 2014

Educhiamoci a Mangiare!


"Siamo quel che mangiamo" citava L.Feuerbach, e se ci pensiamo bene non ha tutti i torti.
A chi sta a cuore la propria salute, il proprio aspetto ed il proprio benessere serve necessariamente fare Educazione Alimentare.
Il termine “educazione” richiama spesso l’idea del bambino. E' il bimbo che deve essere “educato”. Nulla di più sbagliato. Educazione alimentare significa spiegarti ed insegnarti a trarre ogni beneficio possibile dalla tua alimentazione, studiando cosa ti serve, e mettendo a punto un percorso che rispetti e valorizzi le tue esigenze. E’ un “corso di aggiornamento”, rigorosamente scientifico, molto semplice ed efficace che ti spiega nei dettagli e ti fa scoprire, passo dopo passo, come diventare il primo artefice della tua salute.
Ti si costruisce un sistema alimentare personale che ti faccia sentire bene, che rispetti i tuoi gusti e le tue esigenze, che tenga sotto controllo il peso, se occorre, ed eventuali disturbi. Per fare in modo che per te diventi una piacevole abitudine, ti vengono proposti dei passaggi progressivi per gestire autonomamente la tua alimentazione.
"Un educatore è un uomo che rende facili le cose difficili." (R. W. Emerson).

Una educazione alimentare di base è utile a tutti coloro i quali sono interessati alla propria salute, indipendentemente dall’età.
Per i più piccoli l’educazione alimentare si rende spesso necessaria per contrastare i messaggi pubblicitari insistenti che li bombardano continuamente.
Per i giovani è indispensabile per fare in modo che scoprano come è utile aver cura di se e non caschino nelle trappole commerciali e mediatiche, sempre in agguato.
Per gli adulti è uno strumento utile per migliorare lo stato di benessere.
Per chi soffre di disturbi o malattie serve a migliorarle.
Per chi ha qualche chilo di troppo è un passaggio indispensabile per acquisire quella autonomia che consentirà loro di mantenere il peso sotto controllo senza inutili sacrifici, sofferenze e fallimenti.
Seguire il percorso di educazione alimentare, proposto da un nutrizionista, significa sapersi orientare in campo alimentare, conoscere come utilizzare gli alimenti per migliorare la propria salute, per sentirsi bene, per migliorare il proprio aspetto, per controllare il peso. Le informazioni a disposizione in campo di alimentazione sono molto numerose. Il problema è riuscire a distinguere tra quelle vere e quelle false o tendenziose. Saperle utilizzare a proprio vantaggio è ancor più difficile.
Quando il peso non è quello desiderato l’educazione alimentare è indispensabile; serve a difenderti dalle frottole della pubblicità e a cambiare il sistema alimentare che fino ad oggi ti ha fatto ingrassare (magari dimagrire e poi ringrassare e poi dimagrire …) per reinventarne uno nuovo, tuo personale, che tenga conto soprattutto di te e di tutto il tuo mondo. Inserita in un percorso di controllo del peso, ti servirà per gestire il peso, raggiungere quello che ti fa sentire bene e non ingrassare in futuro. Scoprirai che il cibo è tuo amico e alleato per la tua salute e la bellezza. Grazie ad essa e altre metodiche, scopri come mangiare benissimo, ti diverti, mangi di più e meglio di prima, ma il peso ritorna e rimane giusto, non più quello che ti ha dato e ti da problemi, fastidi e danneggia la tua salute. In ogni programma di dimagrimento è indispensabile inserire un percorso di educazione alimentare grazie al quale reinventare un buon rapporto con il cibo e con se stessi. Scopri progressivamente cosa mangiare e quando, come mangiare e perché, come cucinare cibi gustosi, veloci e salutari.
Progressivamente si fa in modo che diventi un' abitudine del tutto naturale.
Uno degli obbiettivi irrinunciabili del metodo attivo per il controllo del peso è quello di farti acquisire autonomia, cioè di sapere, al termine del percorso, gestire da solo la tua alimentazione così da mantenere il tuo giusto peso in futuro. Da soli ci si accorge semplicemente di stare sempre meglio, sentirsi pieno di energie, la salute migliora, l’aspetto migliora, l’umore migliora. Avviene in modo del tutto naturale. Sono passaggi pratici che fanno acquisire esperienza diretta su cosa fa star meglio.
"Si dovrebbero sperimentare le cose prima di impararle, infatti si impara dall'esperienza". (Aristotele).



Ogni metodo di educazione alimentare si basa sulla semplicità, naturalezza e gratificazione. Si impara qualcosa quando ci gratifica, ci da soddisfazione; quando si sperimenta in prima persona un miglioramento, lasciando fare i vari passaggi con i propri tempi, secondo le necessità, valorizzando le proprie caratteristiche personali. Non parliamo di rinunce, ma di un corretto rapporto con il cibo e fra i cibi. Il medico assume il ruolo di guida che ti fa scoprire per esperienza diretta, passo dopo passo, come occuparti della tua alimentazione, divertendoti. Ti fornisce gli strumenti per modificare ciò che ti danneggia facendoti fare esperienza diretta. Il medico e il paziente collaborano in funzione di un obiettivo comune: la tua salute.

Dott.ssa Guerrera Mariacarmela
Biologa Nutrizionista

lunedì 14 aprile 2014

Cos'è lo Shiatsu?


 Lo Shiatsu é una disciplina evolutiva, che stimola la vitalità degli individui coinvolti.
Lo Shiatsu, é l'arte manuale per ritrovare il benessere e l'Equilibrio. 
Lo shiatsu scioglie tensioni, libera l' energia, migliora la funzionalità del nostro corpo, rilassa la mente. 

Shiatsu significa letteralmente “pressione con le dita”, esso stimola le naturali capacità di auto-guarigione dell’ uomo, viene praticato per i grandi benefici che apporta in termini di mantenimento e ripristino del benessere di corpo e mente.
E’ una pratica dolce, piacevole da ricevere, efficace, nella quale trovano beneficio anche gli anziani, i bambini, le donne in gravidanza e gli sportivi.
 Le caratteristiche dello Shiatsu sono: pressione perpendicolare al punto di contatto, costante nel tempo, con l’ uso del peso del corpo e quindi senza nessuna forza o tensione muscolare. La pressione si effettua con l’ uso delle dita delle mani, in particolare i pollici, i palmi, i gomiti, gli avambracci, in alcuni stili le ginocchia, i piedi. 
Le pressioni vengono quindi effettuate sui canali energetici (meridiani), in particolare quelli codificati come meridiani dell’ agopuntura cinese.

I Benefici dello Shiatsu
I benefici dello shiatsu si manifestano a diversi livelli: fisico, psico-emozionale ed energetico.
Dopo una seduta di shiatsu si avverte una sensazione di tranquillità e benessere generale.
Gli effetti dello shiatsu si evidenziano particolarmente sul sistema nervoso. 
A livello di questo apparato lo shiatsu permette di ritrovare una certa tranquillità, necessaria nel ricevere e rielaborare adeguatamente gli stimoli esterni di varia natura.
La pelle, la muscolatura e l' apparato osteo-articolare beneficiano dello shiatsu che attiva una migliore irrorazione sanguigna, una ottimale ossigenazione e permette una sana distensione muscolare.
Apparato digerente, l' eliminazione delle tossine e gli organi emuntori come fegato, reni ed intestino, stimolati dolcemente dalle pressioni shiatsu sui canali e punti di loro appartenenza, possono svolgere adeguatamente la loro funzione.
Apparato respiratorio, permettendo anche una miglior ossigenazione a beneficio dell'organismo stesso.
I benefici non sono solo fisici, lo shiatsu considera la persona nella sua totalità e per la Medicina Tradizionale Cinese agli organi corrispondono emozioni. Quindi persone che vivono stress, paure, ansia e depressione, possono trovare grande giovamento nello shiatsu.
Quest' arte completamente naturale aiuta ad attivare le capacità di autoguarigione.
Angela Scognamiglio
Insegnante di Shiatsu

sabato 12 aprile 2014

Tu chiamale...emozioni.

La parola emozione risale dalle parole latine ex moveo (muovere da): l'etimologia ci fa capire che ad ogni emozione di base, si associa una tendenza ad agire
Le emozioni sono fenomeni biologici innati, geneticamente programmati, mediati dai sistemi subcorticali e limbici, funzionali alla sopravvivenza della specie e basati su segnali non-verbali (come ad esempio la mimica facciale, la gestualità, la postura corporea ed il tono vocale).  Ad esempio, la rabbia può essere visibile nella bocca corrucciata, nei pugni serrati, negli occhi stretti e, in una generale, nella tensione del corpo; la paura può essere comunicata dalle spalle curve, dal respiro trattenuto e da uno sguardo implorante. Con l’espressione delle emozioni, la persona,dunque, può chiedere aiuto agli altri, o può comunicare perplessita’, sorpresa, gioia, tristezza, etc.
Le reazioni emozionali comunicano i nostri bisogni, le intenzioni e i desideri dell’organismo, e sono fondamentali  nella vita di tutti i giorni. Infatti, le funzioni principali delle emozioni sono: comunicare gli stati interni ad altri significativi; promuovere la competenza esplorativa dell’ambiente; promuovere risposte adeguate alle situazioni di emergenza; regolare il comportamento. 
Le nostre emozioni sono, in ogni caso, espressione di un tentativo, più o meno efficace, di adattamento a ciò che ci circonda. Le emozioni aggiungono un colore motivazionale all’elaborazione cognitiva, e agiscono come segnali che ci fanno notare e prestare attenzione a determinati segnali; ci aiutano ad agire in maniera adattiva richiamando la nostra attenzione su eventi e stimoli ambientali significativi. Il “cervello emotivo ci dirige verso le esperienze che cerchiamo, e quello cognitivo cerca di aiutarci ad arrivarci nella maniera più intelligente possibile” (Servan-Schreiber, 2003). Secondo Llinas, “ Così come il tono muscolare funge da piattaforma di base per l’esecuzione dei movimenti, le emozioni rappresentano la piattaforma premotoria che ci guida o ci trattiene relativamente alle nostre azioni”. 

Anche le emozioni più intense e intollerabili vanno ascoltate, poichè con forza ci segnalano che qualcosa non va e che forse vale la pena fermarci a capire. La capacità di soffermarsi sui propri segnali emotivi e di capirne il personale senso e significato, comunicandolo a se stessi e agli altri, attraverso processi di dialogo interno e di condivisione sociale, consente di ritrovare il proprio equilibrio, dopo momenti o periodi di instabilità.
Può capitare di avere  una particolare difficoltà di identificare e comunicare le emozioni. Il termine alexithymia (dal greco alpha = assenza, lexis = linguaggio, thymos = emozioni, ossia “assenza di parole per le emozioni”)  indica persone con una difficoltà a verbalizzare i propri stati emotivi e, ad un’indagine più approfondita, sembrano non averne affatto consapevolezza. La capacità di riflettere su un’emozione e di permetterle di essere una parte dei dati che guidano l’azione, viene persa mentre la sua espressione diventa esplosiva e incontrollata. Alcune persone possono, infatti, mostrare scoppi improvvisi di emozioni intense (come rabbia, paura o pianto), con una difficoltà a collegare la manifestazione emozionale con ricordi, fantasie o specifiche situazioni. 
La difficoltà di verbalizzare i vissuti emotivi, si traduce in un linguaggio del corpo che permette di manifestare il disagio provato.  Per questo motivo, nei disturbi della regolazione affettiva la mente non entra ancora in gioco, e il disagio è concentrato nel corpo.

Il primo passo per avvicinarci alla comprensione delle emozioni è, dunque, riconoscerle su noi stessi, prima ancora di riuscire a comunicarle. Ma come fare? Notare le emozioni significa essenzialmente rivolgersi con consapevolezza alla propria esperienza interiore e alla consapevolezza del corpo. Ogni emozione si accompagna a delle sensazioni fisiche, spesso molto intense, a volte meno, che possono farci da guida nell’identificare il nostro stato interno. Si tratta di ascoltare e soffermarsi con quello che sentiamo nel corpo. Cosa sento? Dove lo sento? 
Come Damasio, anche  Frijda ha supposto che le emozioni sono inseparabili dal corpo: “Le emozioni sono... questioni che riguardano il corpo: il cuore, lo stomaco e le budella, l’attività e l’impulso corporei. Sono della carne e la bruciano. Sono anche del cervello e delle vene”. Sia che siamo consapevoli o meno di queste sensazioni interne, esse contribuiscono alle emozioni e ne rappresentano il risultato. Le farfalle nello stomaco ci dicono che siamo eccitati, una sensazione pesante al torace ci parla di dolore, la tensione della mascella ci informa del fatto che siamo arrabbiati e un formicolio pervasivo indica paura (P.Ogden,2006). Ascoltare il corpo consente di entrare in contatto, in modo più profondo, con noi stessi e consente,anche, di diventare consapevoli delle nostre emozini.

Dott.ssa Stefania Alfano
Psicologa-Psicoterapeuta

giovedì 10 aprile 2014

Cibo come Nutrimento, Cibo come Piacere e non Solo!

Viviamo in un mondo sempre più attento alla cultura del cibo. Il cibo è vita, gratificazione, stimola i sensi, è anche convivialità, fantasia e passione. Fino ad oggi abbiamo sempre calcolato le calorie dei cibi limitandoci ad una visione uni-dimensionale degli alimenti, ma questi sono molto di più di un semplice carburante. Ogni alimento che ingeriamo veicola molecole che fungono da messaggeri e che possono contribuire a mantenerci sani oppure farci ammalare. Il significato del verbo "mangiare" ha da sempre superato la sua mera funzione primaria, non identificandosi semplicemente con l'assunzione di cibo, ma piuttosto legandosi in modo imprescindibile al concetto di convivialità.
Il semplice abbinamento cibo-sostentamento ha ben presto lasciato spazio a nuovi valori e significati che rientrano nella sfera sociale dell'essere umano. Chi decide di dividere la stessa tavola e di mangiare assieme, vuole rendere gli altri commensali partecipi di nuove esperienze, culinarie e non, vuole dividere con loro il piacere della tavola, rafforzare un legame sociale, condividere momenti da ricordare.
E' riconducibile al cibo il concetto che riguarda l'identità culturale. Le diverse culture gastronomiche, infatti, hanno contribuito a definire e ad identificare, nel corso dei secoli, l'identità di un popolo e, di conseguenza, il suo stile di vita.
Un terzo aspetto collegato direttamente al cibo riguarda la salute. Oggi non è sempre facile degustare prodotti sani e genuini. Conservanti, coloranti, anabolizzanti e sostanze chimiche di sintesi di cui si è fatto largamente uso negli scorsi decenni, hanno contribuito ad accrescere in ognuno di noi il sospetto ogni volta che ci approcciamo ad un nuovo alimento. Le notizie che la cronaca riporta di tanto in tanto riguardanti le sofisticazioni alimentari non ci rassicurano.
Insomma, il cibo, oltre ad essere fonte di nutrimento, veicola innumerevoli significati:
  • Cibo come tradizione. È nei piatti tipici e tradizionali che si conserva spesso una parte importante della cultura di un popolo, di una regione, che si tramandano vecchi saperi, sapori e valori.
  • Cibo come amicizia. L'offerta di cibo è il primo gesto di amicizia, in ogni parte del mondo.
  • Cibo come ritrovarsi. Per una famiglia spesso è il momento del pranzo, della cena, l'occasione per riunirsi e ritrovarsi insieme. Ed è in tavola che affiora sempre un po' di noi: i gesti della convivialità, i piccoli impacci, le ruvide cortesie, gli sbalzi di nervosismo, le storie individuali con i loro intrecci, piccoli e grandi problemi.
  • Cibo come festa. Non si può pensare a nessuna occasione di festeggiamento, in tutti i luoghi e tempi, senza un ricco buffet o senza le portate più importanti.
  • Cibo come approfondimento di un rapporto. A tavola, vuoi per un appuntamento di lavoro o di piacere, ci si lascia andare di più. E il tutto diventa un'occasione di comunicare, difficile da ricreare altrove.
  • Cibo come piacere. Il piatto fumante davanti ai nostri occhi, il profumo, il gusto dell'assaggio, poi l'appetito saziato… sono tutte sensazioni estremamente piacevoli.
  • Cibo come rituale. L'attenzione nel preparare la tavola, per sé e per gli altri, la disposizione delle cose e dei piatti, la cura nel cucinare i propri piatti preferiti, o quelli delle persone a noi care... momenti preziosi, da ritagliarsi come antidoto alla frenesia dei tempi d'oggi, e da pensare come gesti per prendersi cura di sé.
  • Cibo come coccola. Stupendi manicaretti, il cioccolato, il liquore dopo pasto... Sono attimi preziosi che dedichiamo a noi stessi, quasi come una carezza.
  • Cibo come atto sensuale. Il miglior preliminare all'intimità? Una cena! Con tutti gli ingredienti giusti: l'atmosfera, i sapori, i gesti... e l'amore.
"Siamo quello che mangiamo", affermava il filosofo Feuerbach e proprio perchè conosciamo l'importanza della corretta alimentazione per il nostro benessere psicofisico, che inizia a farsi strada una sensibilità sempre maggiore nei confronti della qualità del cibo che consumiamo e dell’importanza di acquistare prodotti alimentari naturali e garantiti.
Il cibo ruota attorno agli orari dei pasti e della commensalità, con una dimensione essenzialmente sociale e pubblica. Questo vuol dire che, soprattutto nella dieta mediterranea, vince il concetto del cibo inteso non come un mero fenomeno nutrizionale, ma piuttosto come sintesi di un insieme di valori storici, etici e culturali. In poche parole, del cibo inteso come piacere.

Filo conduttore di questo piacere è senz’altro la convivialità, la condivisione in senso ampio di momenti della vita con altre persone, e, in modo particolare, la condivisione del mangiare. Non stupisce quindi constatare che i popoli del Mediterraneo legassero (e leghino ancor oggi) il fatto di condividere un momento di serenità e felicità con altre persone nell’atto del mangiare insieme, nel convivio, nel banchetto.
La parola “convivialità” ci parla, quindi, del cibo quale piacere e del cibo quale atto sociale. La cultura mediterranea vive al plurale: la strada, la piazza, il mercato, il luogo di culto, l’osteria, il bar sono tutti luoghi fisici di incontro, di contatto, di scambio, non solo fra persone ma anche fra idee, culture, modi di vivere e di pensare. E non è un caso che la cucina mediterranea sia, nel mondo, una delle cucine più varie e più “contaminate” da molteplici influenze, tanto culturali quanto sensoriali.
La preparazione del cibo è già essa stessa un momento di incontro e di scambio, un’esperienza di condivisione comune di qualcosa che è il frutto del lavoro, sapiente e spesso molto lento e paziente, dell’uomo. I momenti di incontro, siano essi interni al nucleo familiare o fra estranei, sono legati al cibo e alla sua fruizione, al fatto di essere “seduti attorno a una tavola”, al rito del mangiare. Un rito che, inevitabilmente, è influenzato e definito con forza nei suoi modi, tempi, suoni,colori, immagini e sapori dallo spirito mediterraneo.
Sedersi a mangiare in compagnia, talvolta anche a tavolate gioiosamente chiassose, rinsalda i legami di parentela e amicizia e facilita i processi di coesione sociale. Preparare il cibo, scambiarlo, consumarlo con altre persone condividendone il piacere e i segreti, rappresenta un modo di vivere che dà valore ai rapporti, al tempo dedicato all’altro, al buono e al bello delle esperienze sensoriali. È, infine, un’attenzione, oggi sempre meno presente, alla trasmissione del sapere e delle tradizioni culinarie dei diversi luoghi e delle diverse culture.


Dott.ssa Guerrera Mariacarmela
Biologa Nutrizionista

martedì 8 aprile 2014

Le basi neurobiologiche dell'anoressia nervosa: è tutta una questione di attaccamento?


Introduzione 
L’anoressia nervosa (AN) è un serio disordine mentale che porta a morte in quasi il 10% dei casi. L’AN colpisce prevalentemente le femmine con un rapporto 10:1 con i maschi. Al momento, la diagnosi individuale di AN è prevalentemente basata solo sulla storia clinica del paziente, rendendo così la diagnosi instabile, con caratteristiche cliniche che possono variare nel tempo (passaggio da anoressia a bulimia nervosa), e vi è anche una frequente comorbidità con altre diagnosi, quali ansia e depressione. Per questo motivo, vi è una necessità urgente di identificare biomarcatori utili per migliorare la diagnosi nella pratica clinica. Negli ultimi 10 anni, un notevole sforzo è stato profuso nello sviluppo di metodi di neuroimaging avanzati. Di conseguenza, una pletora di studi di neuroimaging funzionale e strutturale sono stati eseguiti per svelare i meccanismi fisiopatologici della AN, ma al momento attuale nessuna di queste scoperte è stata traslata nella pratica clinica. Scopo del presente studio è quello di identificare, per la prima volta al mondo, in un’ottica multidimensionale, la presenza di specifiche anomalie cerebrali nelle pazienti con AN, che siano in grado di poter essere utilizzate anche nella pratica clinica.
Metodo
Soggetti: 70 pazienti con prima diagnosi di disturbi dell’alimentazione (seguendo le linee guida del DSM-IV) sono stati arruolati tramite lo sportello clinico dell’Azienda Ospedaliera di Cosenza. Dopo aver esaminato le informazioni diagnostiche, gli psichiatri hanno poi segnalato solo le pazienti con AN di tipo restrittivo. Per la partecipazione a questo studio di neuroimaging sono stati poi utilizzati i seguenti criteri di esclusione: (1) disturbi neurologici diagnosticati da un accurato esame neurologico clinico, (2) i sintomi di durata superiore ai 2 di anni; (3) presenza di lesioni cerebrali, (4) impianti metallici, (5) farmaci psicotropi, (6) uso di droga o alcol e (7) claustrofobia. Alla fine, sono state arruolate 10 donne con AN (vedi tabella 1). Le pazienti AN sono state confrontate con un gruppo di controllo sano. Particolare attenzione è stata rivolta ai potenziali fattori di confondimento , come indice di massa corporea (BMI) e la presenza di psicopatologie (misurata con MMPI). Per questo motivo abbiamo individuato, da un nostro grande gruppo di controlli (110), individui aventi simile età/sesso/BMI, delle pazienti AN.
Testatura Psicologica: tutti i soggetti sono stati sottoposti ad un ampia testatura psicologica comprendente i seguenti test: MMPI, PBI, DES, EAT-26, BES, SDQ-20 e BIDA. Per valutare l’ansia e depressione abbiamo usato la STAI e la BDI.
Indagine di Neuroimaging avanzato: Tutti i soggetti sono stati sottoposti a risonanza magnetica funzionale e strutturale utilizzando una RM 3T. Nell’esame funzionale, abbiamo indagato l’attività cerebrale durante lo stato di riposo (resting state) dal quale è possibile estrarre le componenti (network) principali dell’attività metabolica umana. Nell’esame strutturale i soggetti erano sottoposti ad una sequenza morfologica successivamente elaborata per estrarre varie metriche anatomiche, come: il volume (utilizzando la voxel-based morphometry, (VBM)) e lo spessore corticale (Freesurfer). Infine sempre queste immagini sono state analizzate utilizzando un innovativo sistema di analisi avanzate di neuroimaging definito come: Support Vector Machine (SVM). La SVM è un algoritmo intelligente che viene addestrato su dataset caratterizzanti (comprendente sia soggetti malati che soggetti sani), e una volta terminata la fase di addestramento, l’algoritmo viene testato con un nuovo dataset per valutare l’accuratezza nel classificare membri di un particolare gruppo, e possono quindi essere usati per scopi predittivi. Questi modelli sono diventati recentemente oggetto di studi intensivi e sono state applicati con successo in diversi campi
delle neuroimaging, per la diagnosi automatizzata di pazienti neurologici e psichiatrici.
Risultati 
A livello psicologico, le pazienti AN mostrano (confrontate con donne sane senza psicopatologie e aventi BMI simile), valori patologici per: l’attaccamento al padre e alla madre (PBI), la relazione con il cibo (EAT-26, BES) e componenti somatiche dissociative (SDQ-20). Inoltre le pazienti avevano anche comportamenti distorti legati alla percezione delle forme corporee come evidenziato dal test BIDA.
Le tecniche di neuroimaging avanzato sono state eseguite utilizzando soglie statistiche molto conservative (correction for multiple comparisons, whole brain). Sia le metodiche di imaging strutturale (VBM-Freesurfer) sia lo studio dell’attività cerebrale a riposo  mostrano la presenza di
anomalie cerebrali a carico del SISTEMA VISIVO nelle pazienti AN. Correlando queste anomalie (biomarcatori) con le variabili psicologiche, l’unico dato significativo che emergeva era la correlazione con i punteggi di Attaccamento alla Madre. In particolare un basso attaccamento alla figura materna era correlato con una atrofia della corteccia visiva.
Gli algoritmi di SVM applicati alle immagini morfologiche riescono a fare diagnosi individuale, tra AN e controlli sani, con un accuratezza dell’89.8%. Inoltre, utilizzando una analisi di pattern recognizition voxel per voxel, è possibile vedere quali voxels del cervello hanno permesso al classificatore di raggiungere una così elevata accuratezza. La SVM utilizza, per il suo processo di classificazione, le informazioni di intensità delle immagini morfologiche presente nella corteccia visiva primaria.
Conclusioni
Il nostro rappresenta il primo studio al mondo che ha utilizzato un approccio multidimensionale così
ampio da includere non solo lo studio delle informazioni fisiopatologiche caratterizzanti le pazienti AN ma anche l’applicazione, di queste conoscenze, allo sviluppo di nuovi sistemi di diagnosi automatica. Noi riteniamo che i nostri dati possano avere una forte ricaduta traslazionale nella pratica clinica. Inoltre, abbiamo anche caratterizzato il peso dell’attaccamento alle figure parentali nelle pazienti AN.
La correlazione tra punteggi della scala PBI con l’anatomia della corteccia visiva, congiuntamente ai dati di SVM, suggerisce che l’AN sia causato da un alterato neurosviluppo del sistema visivo, che può essere influenzato da un patologico attaccamento alla figura materna.

(Poster al 18° Congresso SOPSI - Torino, 12/15 febbraio 2014) 

domenica 6 aprile 2014

Il Training Autogeno


Il Training Autogeno fu elaborato da Johannes Heinrich Schultz negli anni fra il 1908 e il 1912. Egli era partito dalle osservazioni fatte da Vogt sull’ipnotismo, e sulla capacità di indurre autonomamente in se stessi uno stato di calma. 
Il T.A. fa riferimento al concetto secondo cui le componenti fisico-biologiche e psichiche dell’individuo sono interdipendenti e si basa sulla considerazione che un cambiamento a livello fisico comporta modificazioni a livello psicologico; gli interventi, dunque, sono rivolti all’individuo nella sua totalità ed interezza, e all’unità mente-corpo. Il T.A. è stato definito come un metodo da concentrazione psichica passiva, che consente di modificare situazioni psichiche somatiche. 
"Training" = allenamento, esercizio sistematico , "Autogeno" = che si genera da se’. Il fondamentale principio autogeno è l’ autogenicità: affinché questa si realizzi è importante che gli esercizi vengano eseguiti in modo costante e autonomo. Il compito dell’ operatore di T.A.  è dunque quello di illustrare progressivamente gli esercizi, supervisionare il lavoro individuale e favorire l’elaborazione del vissuto che emerge durante l’apprendimento degli esercizi. Il Training Autogeno cerca di fornire all’individuo uno strumento che possa poi essere utilizzato in modo autonomo. 
La pratica del T.A. consiste in un apprendimento graduale di una serie di esercizi di concentrazione, particolarmente studiati e concatenati, allo scopo di portare progressivamente al realizzarsi di spontanee modificazioni del tono muscolare, della funzionalita’ vascolare, dell' attivita’ cardiaca e polmonare, dell'equilibrio neurovegetativo e dello stato di coscienza. Gli esercizi di training autogeno vengono generalmente distinti in due categorie: esercizi del training autogeno inferiore (esercizio della pesantezza, del calore, del cuore, del respiro, del plesso solare, della fronte fresca),  ed esercizi del training autogeno superiore.
Con il T.A. noi intraprendiamo una “programmazione” vera e propria, in questo modo è possibile tener lontani gli stimoli continuamente ricorrenti (stress, conflitti, dispiaceri …) dal nostro organo più sensibile (ognuno ha un organo particolarmente sensibile). Tutti gli esercizi del training autogeno si basano sull’esercizio del respiro. Già la prima sollecitazione rivolta alla respirazione  - espirare con calma – comporta ad un richiamo alla calma, un introdursi alla calma. 
Chi ha disimparato a vivere consapevolmente e pensa di continuo al domani o è attaccato al passato, chi non coglie il qui e ora, sarà indotto, per prima cosa, a concentrarsi sul presente. Questo dirigere l’attenzione su se stessi consente un’immediata commutazione, cioè una concentrazione alla calma la quale rende possibile di distanziarsi dalla dimensione quotidiana e di dare un efficace assetto e orientamento alla propria vita. 
L’autodistensione da concentrazione, il distacco e la commutazione alla calma, il riaversi in ogni momento, il trovar modo di uscire dall’ansia, il potenziamento della concentrazione e dell’efficienza, il dormir meglio, questi , tra gli altri, gli obiettivi del training autogeno. I principali risultati che si possono ottenere con la pratica del T.A. sono tre: equilibrio neurovegetativo,  stato di calma e  modifiche di personalita’.


(dal libro: “ Il libro del training autogeno” di Gisela Ederlein, 2010, Feltrinelli)
Dott.ssa Stefania Alfano
Psicologa-Psicoterapeuta

venerdì 4 aprile 2014

"Il Cibo del Cervello"

Ogni simbolo porta con sé il significato che rappresenta. 
E' possibile riscontrare una similitudine tra un oggetto o una parte di esso ed un'altra forma o funzione a cui esso è collegato, come ad es. l'interno commestibile di una noce assomiglia al cervello umano e può essere utilizzato per curare disturbi cerebrali; in effetti l'analisi moderna ha rivelato che la noce è ricca in serotonina, omega 3 e vitamina B6 ed E, nutrienti essenziali per le funzioni cerebrali.
Sia letteralmente che in modo figurato, le noci sono "il cibo del cervello”.
Fisicamente la noce sembra anche molto simile al cervello umano: il sottile strato verde che copre esternamente le noci, prima di come le vediamo esposte nei supermercati, è simile al cuoio capelluto.
Il duro guscio di una noce è paragonabile ad un teschio. La sottile membrana dentro, che funge da partizione tra le due metà della noce, è come la membrana cerebrale. La forma della noce stessa richiama i due emisferi del cervello umano.


Le noci sono frutti molto energetici, per 100 gr di prodotto forniscono infatti all'organismo circa 600 calorie. Come tutti i semi oleosi sono ricche di acidi grassi polinsaturi e sali minerali, in particolare di ferro, calcio, magnesio, potassio,rame e zinco; sono costituite dal 15 al 20 % di proteine e contengono acido linoleico (acidi grassi omega-6) e di acidi alfa-linoleici (acidi grassi omega-3). La vitamina E e la vitamina B6 le rendono un’ottima fonte di nutrimento per il sistema nervoso . Gli acidi grassi omega 3 delle noci sono particolarmente utili per le funzioni cerebrale. Il nostro cervello è costituito per più del 60% di grassi strutturali, che devono essere in primo luogo grassi omega-3, presenti ad esempio nelle noci e nel lino, per far funzionare correttamente le sue membrane cellulari. Le membrane cellulari, principalmente composte di grassi, sono i guardiani delle cellule. I grassi Omega-3, flessibili e fluidi per natura, rendono facile, per le sostanze nutritive, passare attraverso la membrana esterna della cellula e aiutano a rimuovere i rifiuti in modo efficiente. Gli acidi omega3 contenuti nelle noci contribuiscono a tenere sotto controllo il livello di colesterolo “cattivo” nel sangue, a prevenire l'arteriosclerosi e, sembrerebbe, anche a combattere lo stress.
La vitamine E fa delle noci piccole
perle di giovinezza che, combattendo l'azione dei radicali liberi, sono degli ottimi antiossidanti.
La proprietà però più caratteristica delle noci è quella data dall'arginina, un aminoacido che le rende perfette per chi pratica sport: le noci sono infatti un alimento molto energetico (quindi ottimo per ricaricarsi in maniera sana e leggera) e dilatano i vasi sanguigni che, portando più ossigeno e sostanze nutritive ai muscoli, migliorano le prestazioni fisiche.Le noci possono anche aiutare a correggere i livelli di serotonina del cervello umano. La Serotonina è un' importante sostanza chimica del cervello che controlla sia il nostro umore e che il nostro appetito. Sempre le noci potrebbero essere in grado di alleviare i disturbi come insonnia, depressione, e altri comportamenti compulsivi, comunemente trattati con farmaci antidepressivi, senza il pericolo di effetti collaterali.
Tanti benefici racchiusi in una mano.


Dott.ssa Guerrera Mariacarmela
Biologa Nutrizionista