giovedì 15 maggio 2014

L’emancipazione dei genitori dai figli: l’adolescenza.


Gli esseri umani non nascono sempre il giorno in cui 
le loro madri li danno alla luce,
 ma la vita li costringe ancora molte
 volte a partorirsi da Sé.
Gabriel Garcia Marquez


La condizione degli adolescenti oggi è condizione che ci è sembrata interessante da approfondire e sviluppare in questo articolo. Fatti di cronaca ed esperienze quotidiane ci hanno portato a riflettere su questo critico momento di vita sia per l’adolescente che per la sua famiglia. 
L’adolescenza è un evento critico che mette a dura prova la capacità di adattamento e flessibilità dell’intera organizzazione e struttura familiare: si tratta di una sfida evolutiva che coinvolge sia l’adolescente che la coppia genitoriale. L’adolescenza, per questo, è stata definita “un’impresa evolutiva congiunta” di genitori e figli (Scabini, 1995), che si caratterizza non tanto per la brusca e netta separazione dell’adolescente dalla famiglia, quanto piuttosto per una trasformazione e ristrutturazione dei legami preesistenti. Nicolò-Corigliano e Ferraris (1991) sottolineano che “l'adolescente, nel suo processo di svincolo, metterà in discussione non solo i modelli di funzionamento familiare ma anche i valori,  gli ideali e le credenze” di tutta la famiglia. 
Il processo evolutivo della famiglia, si snoda in una sorta di mobilità intersistemica, un passaggio, obbligato ma sereno, tra i diversi universi relazionali; è visto come un processo di continua ristrutturazione della trama dei rapporti relazionali tra i membri della famiglia e quello delle generazioni precedenti. Il sistema familiare fa inevitabilmente i conti con il tempo. Il tempo è inteso sia come “ flusso temporale molto ricco, punteggiato e continuamente trasformato dai tempi dalle nascite, dai tempi della crescita, e dalle entrate e uscite dei diversi componenti del sistema familiare” (Andolfi, 2003), sia come “ ritmo che orchestra i legami vitali di più generazioni, che, tramite azioni e racconti, danno luogo alla storia familiare. Il tempo familiare ha perciò vita più lunga del tempo individuale, lo travalica, rappresentando l’elemento di continuità nel passaggio delle generazioni” (Cigoli,1997). Secondo la teoria transgenerazionale di Boszormenyi-Nagy (1973), ogni famiglia non finisce in se stessa dal momento che c'è un lascito dalle rispettive famiglie di origine. Boszormenyi–Nagy e Spark (1973), parlano di lealtà invisibili; una forza sistemica, funzionale al mantenimento del gruppo multi generazionale, attraverso un invisibile tessuto di aspettative. Esiste nelle famiglie un bilancio invisibile trascritto su un libro dei conti in cui gli obblighi passati e presenti influenzano la consegna di ruoli e di aspettative secondo quella che è l’etica dei rapporti e il senso di giustizia formato all’interno della famiglia. 
In quest’ottica, i sintomi attuali diventano il risultato di un processo multi generazionale; tramite il “processo di proiezione della famiglia” i problemi non risolti dei genitori possono trasmettersi sui figli. Diversi autori considerano uno specifico fattore di rischio le esperienze traumatiche irrisolte nel passato del genitore, vissute senza la possibilità di sperimentare conforto e lenimento (Di Noia, 2009). Talvolta problemi personali che si è fatta fatica a lasciare indietro, per cercare di costruire un proprio futuro, ritornano come “scheletri nell’armadio” (Malacrea, 1998).
Laddove il genitore abbia una condizione mentale di dissociazione in rapporto a esperienze traumatiche passate o esperienze di perdita non elaborate, può manifestare, in particolare, una specifica difficoltà a prestare un’attenzione agli stati affettivi del figlio e, in generale, una difficoltà a rivestire il ruolo di genitore. 
Ogni cambiamento interno al sistema, comporta una rielaborazione e assegnazione dei ruoli e delle funzioni che si trasformano nel tempo, e che vengono assunte e interpretate in modo nuovo dagli altri componenti (Migliorini, 2008). Ad ogni tappa del ciclo di vita di una famiglia, corrisponde una situazione nuova da affrontare che mette inevitabilmente in crisi le vecchie modalità e richiede necessariamente un nuovo assetto familiare. La crisi costituisce il primo atto di una nuova fase maturativa che contiene il massimo del potenziale di cambiamento (Andolfi, 2003).
Dott.ssa Alfano Stefania
Dott.ssa Rosa Miniaci, Psicologa
(per la versione completa dell'articolo vai su : 

domenica 4 maggio 2014

Night Eating Syndrome: Sindrome dell'Alimentazione Notturna

La Night Eating Syndrome (NES) definita anche Sindrome dell'Alimentazione Notturna, è rappresentata dall’ingestione abnorme di cibo nelle ore notturne e serali.
In questa sindrome entrano in giocano fattori biologici, genetici, ormonali e componenti psicologiche, cognitive ed emotive.
La NES affligge:
  • l’1,5% della popolazione generale
  • il 10% dei soggetti obesi
  • il 25% dei soggetti che si sottopongono a trattamento chirurgico per obesità
  • il 5% dei soggetti che richiedono un intervento per problemi di insonnia
  • il 20% dei soggetti affetti da Disturbo da Alimentazione Incontrollata (DAI)


Le persone affette da questo disturbo, mangiano pochissimo durante il giorno ma la sera ingoiano grandi quantità di cibo e accusano risvegli notturni accompagnati sempre da assunzioni di cibo. A questo particolare comportamento alimentare, spesso si associano alterazioni dell’umore, ansia e insonnia; stress, depressione e bassa autostima sono anche individuabili nel NES.
Sovente sono obesi, ma possono anche essere normopeso per la restrizione calorica che praticano durante il giorno.
In specifico, i principali sintomi sono:
- scarso appetito la mattina (certe volte fino al tardo pomeriggio);
- eccessiva e compulsiva alimentazione nel periodo serale e notturno;
- difficoltà ad addormentarsi e necessità di mangiare prima dell'addormentamento;
- frequenti risvegli notturni contraddistinti dalla necessità di mangiare per riuscire a riprendere sonno;
- presenza di depressione o stress diffuso.
La persona afflitta da NES spesso si alimenta scarsamente a colazione e a pranzo, fa una cena normale, ma poi tende a mangiare abbondantemente e in modo compulsivo, mediante ripetute abbuffate (fino ad un terzo delle calorie giornaliere) nel periodo serale ed in quello notturno (le abbuffate sono costituite da quantità di cibo minori rispetto al Binge Eating Disorder). Questo comporta forti disturbi nella qualità e nella quantità del sonno con difficoltà nell'addormentamento, raggiunto solo dopo ripetute abbuffate di cibo e continui risvegli durante la notte, già dopo una o due ore dopo l'addormentamento, durante i quali viene assunto nuovamente del cibo.
Alcune persone con NES associano all'assunzione di alimenti anche quella di alcolici; tale atteggiamento è definito Night Eating/Drinking Syndrome (NEDS), da non confondere con il Binge Eating. Nell'individuo con NES sembra non esserci una forte preoccupazione per il peso e per le forme corporei così come avviene nell'Anoressia o nella Bulimia.
La fame notturna può essere reale, e in questo caso la soluzione è piuttosto semplice, visto che il problema è dovuto ad una cena leggera consumata con troppa distanza rispetto al momento in cui si va a dormire. Basta quindi modificare le proprie abitudini alimentari, calcolando le tempistiche o dividendo la cena in due spezzoni.
Ma se non si ha realmente fame e il corpo non necessita cibo, e nelle ore serali, magari mentre si guarda la Tv, e notturne si sente il bisogno di cibo, la situazione è molto più complicata.
Il centro della fame nell’ipotalamo, è sempre in azione: dal cervello attiva organi e ormoni, provocando la ricerca di cibo; a esso si oppone il centro della sazietà, anch’esso nell’ipotalamo, che dà il segnale di stop. Ma talvolta questo meccanismo si inceppa, e non si riesce a dire basta. Così ci si ritrova in piena notte con la testa nel frigorifero a cercare qualcosa da mangiare, con un impulso irrefrenabile a ingurgitare cibo.
La compulsione a sovralimentarsi prima di andare a dormire, è tanto forte che i NES possono credere di non essere capaci di addormentarsi se non mangiano, ma dopo averlo fatto subentra ben presto una forte autosvalutazione. Il mangiare notturno diventa un modo per placare l’ansia, che in questi individui è maggiore durante la sera e la notte. Svegliandosi durante la notte, capita di sentirsi confusi e agitati, con pensieri non ben definiti su qualche avvenimento stressante della giornata e pensano che un po’ di cibo li calmerà e potranno continuare a dormire. Molte persone tendono a mescolare le emozioni con l’assunzione di cibo e usano quest’ultimo per tenere a bada stati d’animo dolorosi o poco controllabili, creando una dipendenza istantanea e rendendo difficile l’interruzione del consumo.
Inoltre, è presente un forte senso di colpa per le abbuffate serali e notturne del giorno precedente. I sensi di colpa spesso si associano a sentimenti di vergogna per la scarsa capacità di autocontrollo e ad un profondo senso di inadeguatezza.
Generalmente la sindrome d'alimentazione notturna può essere parte di una reazione allo stress. I soggetti che ne sono affetti sono più frequentemente depressi, mangiano per rabbia, tristezza o altri sentimenti negativi. Ciò induce a pensare che tale tipo d'alimentazione è utile per regolare le proprie emozioni in particolare nelle ore serali e notturne, quando la relativa calma di queste ore distoglie dai problemi quotidiani e mette di fronte al proprio mondo emotivo “rimosso” e non riconosciuto durante il giorno.
L’atto del mangiare viene inteso come strategia adattiva alle situazioni problematiche. Spesso mangiamo in modo compulsivo perché ci sentiamo incapaci di affrontare le emozioni, si mangia anziché dare sfogo al dolore, alla rabbia e al contrario spesso non mangiamo per un senso di apatia, o solitudine. Una volta imparato che, mangiando, riusciamo a ridurre lo stress o uno stato di malessere, tendiamo a ripetere questo comportamento, spinti dal desiderio di gestire e controllare le proprie emozioni.
Una corretta alimentazione giornaliera è il miglior alleato contro la fame notturna, che in alcuni casi si può combattere con un approccio strategico ad hoc; e nello stesso tempo bisogna imparare ad ascoltare il proprio corpo, a provare ed accettare le emozioni, separare i sentimenti dal cibo, elaborare le idee e i comportamenti disfunzionali.



Dott.ssa Alfano Stefania                                                              Dott.ssa Guerrera Mariacarmela
Psicologa e Psicoterapeuta                                                             Biologa Nutrizionista