venerdì 27 febbraio 2015

Il funzionamento sociale negativo: l’aggressività nei bambini.


Per funzionamento sociale negativo nei bambini in età scolare, si fa riferimento a tutte quelle manifestazioni verbali e non verbali di aggressività, come la sottrazione di oggetti, il rifiuto a cooperare e la interferenza distruttiva nelle attività altrui. L’aggressività può assumere molte forme: può essere esercitata in gruppo o individualmente, essere accompagnata da forti emozioni o messa in atto freddamente, o può essere selettivamente diretta o indiscriminata. 
L’aggressività diventa espressione di un’organizzazione emotiva scarsamente integrata e coerente, e diventa una strategia disfunzionale per la soluzione dei problemi sociali e relazionali.
Forti predittori per l’aggressività impulsiva, sono la suscettibilità emotiva e l’irritabilità. A tal proposito, numerose ricerche hanno, da tempo, indicato nell’irritabilità, nell’instabilità emotiva e nell’impulsività, le variabili fondamentali in grado di svolgere un ruolo significativo nel mediare il nesso tra frustrazione-aggressività. Di fronte a situazioni che comportano una certa frustrazione, i soggetti più impulsivi, più irritabili, ed emotivamente instabili evidenziano una spiccata tendenza ad attuare forme di comportamento aggressivo. La collera, l’irritazione e la rabbia, costituiscono stati emotivi che facilitano il ricorso all’aggressività, tanto che tali stati sono stati indicati come significativi istigatori della condotta aggressiva.
L’intenzione di danneggiare è un aspetto essenziale per etichettare un comportamento come aggressivo. A tal proposito, è importante sottolineare come, da alcune ricerche, i bambini aggressivi, in generale, attribuiscano intenzionalità o ostilità ad un atto ambiguo, a differenza di bambini meno aggressivi, che reputano un atto come meno accidentale. I bambini aggressivi, da alcune ricerche, risultano avere una distorsione nella percezione delle informazioni, e in situazioni ambigue, si lasciano condurre da credenze pregiudiziali (es. la reputazione che ha un bambino). I bambini “a rischio” (al contrario di bambini “ben adattati”), sono bambini che mostrano più instabilità emotiva, hanno punteggi alti di aggressione verbale e fisica, e si mostrano più incerti nell’indicare la reazione emotiva che generalmente si associa alla attribuzione di determinate cause, assegnano maggior importanza a strategie coercitive, tendono ad essere meno scelti e più rifiutati dal gruppo. In generale, si parla di “grammatica sociale”, ossia quell’insieme di regole condivise che definiscono come ci si deve comportare e come è ragionevole aspettarsi che gli altri si comportino. In base a questo, si sostiene che, i bambini “a rischio”, siano bambini “sgrammaticati”: conoscono la lingua ma non è del tutto appropriato l’uso che ne fanno.
Nei primi anni di vita, l’aggressività è legata soprattutto alle ancora limitate abilità sociali del bambino di interagire con l’altro. Le prime manifestazioni aggressive sono indifferenziate e immediate, e passano per il corpo; un’altra forma di aggressività che si può osservare in tenera età, è quella sul conflitto degli oggetti (es. sottrarre un oggetto). Tuttavia, si tratta di una aggressività caratterizzata dalla non intenzionalità di arrecare danno all’altro, ma è imputabile al tentativo del bambino di agire sulla realtà per modificarla in modo immediato.
In seguito, i bambini apprendono che un tipo di aggressività fisica non è più accettabile, e sviluppano gerarchie di dominanza che servono a regolare le interazioni sociali. Attraverso lo sviluppo delle capacità di simbolizzazione e l’acquisizione della capacità verbale, il bambino può “colpire” indirettamente l’avversario tramite il linguaggio, insultando o prendendo in giro l’altro. Man mano che aumentano gli strumenti linguistici e sociali a sua disposizione, il bambino adotta strategie come la derisione e l’offesa. La natura che il comportamento aggressivo assume all’interno delle relazioni interpersonali cambia, e diventa sempre più intenzionale e rivolto ad attaccare e danneggiare l’altro.

L’aggressività, mano a mano che i bambini crescono, sembra essere utilizzata in modo differente. Il crescente coinvolgimento cognitivo, porta con sé un maggior controllo del comportamento, aumentano le possibilità di inibire gli impulsi primitivi sebbene aumenti anche la capacità di pianificare deliberatamente l’azione aggressiva e di renderla efficace. 
Diverse ricerche hanno studiato la relazione tra aggressività, attaccamento e funzionamento sociale. Da queste ricerche emerge che i bambini aggressivi hanno un attaccamento meno sicuro e mostrano un basso grado di orientamento prosociale.
La riduzione del comportamento aggressivo passa inevitabilmente attraverso l’acquisizione degli “strumenti” necessari a fronteggiare la propria impulsività. Imparare a controllare e a gestire l’impulsività costituisce un significativo progresso nella competenza sociale. La capacità di regolare le proprie emozioni (in particolare la rabbia) è una componente decisiva della genesi e della dinamica delle condotte aggressive. 

Dott.ssa Stefania Alfano
Psicologa-Psicoterapeuta