venerdì 15 aprile 2016

IL DIRITTO COSTITUZIONALE DI RIFIUTARE LE CURE E LA RESPONSABILITÀ DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE DA PROVVEDIMENTO ILLEGITTIMO


Recentemente, il Tar Milano si è pronunciato sulla responsabilità della P.A. da attività illegittima, in relazione alla mancata esecuzione, da parte della Regione, della decisione del giudice di interrompere l'alimentazione forzata di un malato terminale in stato vegetativo.
Si è già avuto modo di parlare del diverso modo di inquadrare la disciplina dell’interruzione del procedimento di alimentazione artificiale, e delle diverse conseguenze giuridiche che ne derivano (vedi articolo QUESTIONI DI BIOETICA: IL CONSENSO INFORMATO E LO STATO VEGETATIVO C.D. PERSISTENTE). Brevemente, se si attribuisse alla nutrizione artificiale il valore di terapia, la sospensione dell’alimentazione e della idratazione troverebbe la sua tutela giuridica nell’art. 32 Cost., oltre che nel Codice di deontologia medica. In tal caso, l’idratazione ed alimentazione forzata configurerebbero come ipotesi di “accanimento terapeutico”, e, dunque, la sua sospensione sarebbe ammessa nel nostro ordinamento. Viceversa, se considerata come sostentamento vitale, la sospensione della nutrizione artificiale rientrerebbe in una forma di eutanasia, in quanto la morte del paziente sarebbe causata non da una volontaria interruzione del sostentamento, ma dall’omissione di una forma di sostegno, e come tale perseguibile penalmente. 
La sentenza in oggetto è la conclusione di una lunga vicenda processuale, all’interno della quale l’alimentazione artificiale viene riconosciuta come cura, e la sua interruzione come diritto assoluto di rifiutare le cure ad essa somministrate in qualunque fase del trattamento e per qualunque motivazione, sempre sul presupposto della sussistenza di specifici presupposti (cfr. Cass. Civ., I, 16 ottobre 2007, n. 21748, riferita proprio al caso de quo). Secondo tale orientamento, sussisterebbe un vero e proprio “diritto di staccare la spina”, inteso come diritto fondamentale di autodeterminazione in ordine alla libertà di scelta di non ricevere cure, oltre che della salute (vedi Cass. SS.UU, 22 dicembre 2015, n. 25767).

L’importanza di tale sentenza va ricondotta nell’aver esposto esaustivamente i contenuti che caratterizzano la responsabilità amministrativa da provvedimento illegittimo, distinguendola da quella civile extracontrattuale e contrattuale.
In primo luogo, il comportamento illecito deve essere inserito nell’ambito di un procedimento amministrativo. “L’amministrazione, in ossequio al principio di legalità, deve osservare predefinite regole, procedimentali e sostanziali, che scandiscono le modalità di svolgimento della sua azione” (cfr. sent. de qua).
In secondo luogo, le posizioni soggettive devono essere rappresentate dal potere pubblico da un lato, ed interesse legittimo (o nelle materie di giurisdizione esclusiva, diritto soggettivo) dall’altro.
Gli ulteriori elementi sono il nesso di causalità materiale e del danno ingiusto inteso come lesione alla posizione di interesse legittimo.

Una volta indicati i criteri caratterizzanti la responsabilità amministrativa da provvedimento illegittimo, il Tar verifica che nel caso in esame vi siano i presupposti per la sua configurazione quando la P.A. emani un provvedimento di diniego alla richiesta di “staccare la spina” (che, nel caso in esame, era supportata da precedente sentenza). Il Giudice amministrativo accoglie l'azione di risarcimento danni proposta dal genitore e tutore di una ragazza (che prima del decesso si trovava in stato di coma vegetativo) a titolo di danno iure hereditatis per lesione dei diritti fondamentali nonché a titolo di danno non patrimoniale da lesione di rapporto parentale. 

Fonte: Tar Lombardia - sede di Milano, Sez. III, n. 650 del 6 aprile 2016.


Avv. Tiziana Alfano
Avvocato

giovedì 14 aprile 2016

La persona obesa e il suo rapporto con il cibo.


L’alimentazione non è semplicemente il momento di un bisogno fisiologico, ma è un’attività alla quale l’individuo attribuisce molteplici significati. Vari studi hanno ampiamente dimostrato e confermato, che l’alimentazione rappresenta un momento fondamentale nel processo di sviluppo dell’individuo, in cui si intrecciamo sia elementi emotivi che cognitivi. 
L’obesità è una malattia cronica a diffusione mondiale, e la sua interazione con altre patologie, anch'esse croniche, ne rende la gestione particolarmente complessa.  
La persona obesa ha, in genere, un’immagine corporea di sè negativa; questo la rende più facilmente ansiosa ed imbarazzata, in diverse situazioni sociali, credendo che il suo aspetto riveli la sua inadeguatezza personale, e di persona senza forza di volontà. Molto spesso, focalizzano la loro attenzione sulla dimensione del loro corpo, immaginando che un corpo con qualche chilo in meno, possa rendere la loro vita pienamente soddisfacente e possa essere, soprattutto, la risoluzione di tutti i loro problemi.
Diversi studi, ritengono che l’obesità abbia origine nell’infanzia, in particolare nelle esperienze di nutrizione dei primi anni di vita. Quando la risposta che la madre fornisce a fronte di qualunque malessere del bambino, è il cibo, questi crescerà senza essere in grado di distinguere i differenti disagi che prova e imparando, in tal modo, a dare a tutto un’unica risposta: mangiare. 

Si ha difficoltà a riconoscere i bisogni del proprio corpo, e qualunque stato di malessere lo colpisca, si affronta in maniera caotica e confusa, proprio perché non è in grado di distinguere il malessere fisico da quello psicologico. La persona è incapace di riconoscere e descrivere le proprie emozioni (e anche quelle degli altri), in questo senso, è presente una evidente difficoltà nella  competenza emotiva. Il cibo diventa per l’obeso adulto, il modo di rispondere ad ogni emozione e sensazione sia positiva che negativa. Il cibo viene usato come compensazione di disagi psicologici.

Dal punto di vista psicologico oltre all’alessitimia (incapacità di riconoscere e descrivere le proprie emozioni), sono presenti difficoltà a livello comportamentale e relazionale (scarsa capacità di coping, passività nelle relazioni, evitamento di situazioni sociali difficili da gestire), e a livello cognitivo (tendenza al perfezionismo, bassa autostima, basso livello di autoefficacia, pensiero dicotomico, locus of control esterno, cioè attenzione centrato verso gli stimoli provenienti dall’esterno).

Nel momento in cui la persona obesa decida di iniziare un percorso integrato di consulenza con più specialisti della salute, è importante, un percorso che metta al centro la relazione che la persona ha con se stesso, con gli altri e con il mondo, cercando di recuperare le risorse interne e nel suo ambiente, per far ritrovare interesse e motivazione. 
Altro obiettivo, al pari del suo dimagrimento, è quello di sostenere e guidare la persona obesa a prendere contatto con le sue emozioni e ad imparare a distinguerle e a viverle come tali. In particolare, fornirgli gli strumenti necessari per gestire lo stress, la noia e l’ansia in una maniera efficace e costruttiva, per all’allontanarsi dall’idea del cibo esclusivamente come atto di compensazione.
E infine, è altrettanto importante prestare attenzione a tutti gli aspetti deficitari dell’immagine di sé e dell’autostima che lo caratterizzano, per permettergli, poi, di costruire un nuovo senso di autoefficacia che alimenti aspettative positive per il suo futuro.

Dr.ssa Stefania Alfano
Psicologa-Psicoterapeuta