Per funzionamento sociale negativo nei
bambini in età scolare, si fa riferimento a tutte quelle manifestazioni verbali e non
verbali di aggressività, come la sottrazione di oggetti, il rifiuto a cooperare
e la interferenza distruttiva nelle attività altrui. L’aggressività può
assumere molte forme: può essere esercitata in gruppo o individualmente, essere
accompagnata da forti emozioni o messa in atto freddamente, o può essere
selettivamente diretta o indiscriminata.
L’aggressività diventa espressione di un’organizzazione emotiva scarsamente integrata e coerente, e diventa una strategia disfunzionale per la soluzione dei problemi sociali e relazionali.
L’aggressività diventa espressione di un’organizzazione emotiva scarsamente integrata e coerente, e diventa una strategia disfunzionale per la soluzione dei problemi sociali e relazionali.
Forti predittori per l’aggressività
impulsiva, sono la suscettibilità emotiva e l’irritabilità. A tal proposito,
numerose ricerche hanno, da tempo, indicato nell’irritabilità, nell’instabilità
emotiva e nell’impulsività, le variabili fondamentali in grado di svolgere un
ruolo significativo nel mediare il nesso tra frustrazione-aggressività. Di
fronte a situazioni che comportano una certa frustrazione, i soggetti più
impulsivi, più irritabili, ed emotivamente instabili evidenziano una spiccata
tendenza ad attuare forme di comportamento aggressivo. La collera,
l’irritazione e la rabbia, costituiscono stati emotivi che facilitano il ricorso
all’aggressività, tanto che tali stati sono stati indicati come significativi
istigatori della condotta aggressiva.
L’intenzione di danneggiare è un aspetto essenziale
per etichettare un comportamento come aggressivo. A tal proposito, è importante
sottolineare come, da alcune ricerche, i bambini aggressivi, in generale,
attribuiscano intenzionalità o ostilità ad un atto ambiguo, a differenza di
bambini meno aggressivi, che reputano un atto come meno accidentale. I bambini
aggressivi, da alcune ricerche, risultano avere una distorsione nella
percezione delle informazioni, e in situazioni ambigue, si lasciano condurre da
credenze pregiudiziali (es. la reputazione che ha un bambino). I bambini “a
rischio” (al contrario di bambini “ben adattati”), sono bambini che mostrano
più instabilità emotiva, hanno punteggi alti di aggressione verbale e fisica, e si mostrano più incerti
nell’indicare la reazione emotiva che generalmente si associa alla attribuzione
di determinate cause, assegnano maggior importanza a strategie coercitive,
tendono ad essere meno scelti e più rifiutati dal gruppo. In generale, si
parla di “grammatica sociale”, ossia quell’insieme di regole condivise
che definiscono come ci si deve comportare e come è ragionevole aspettarsi che
gli altri si comportino. In base a questo, si sostiene che, i bambini “a
rischio”, siano bambini “sgrammaticati”: conoscono la lingua ma non è del tutto
appropriato l’uso che ne fanno.
Nei primi anni di vita, l’aggressività è
legata soprattutto alle ancora limitate abilità sociali del bambino di
interagire con l’altro. Le prime manifestazioni aggressive sono indifferenziate
e immediate, e passano per il corpo; un’altra forma di aggressività che si può
osservare in tenera età, è quella sul conflitto degli oggetti (es. sottrarre un
oggetto). Tuttavia, si tratta di una aggressività caratterizzata dalla non
intenzionalità di arrecare danno all’altro, ma è imputabile al tentativo del
bambino di agire sulla realtà per modificarla in modo immediato.
In seguito, i bambini apprendono che un
tipo di aggressività fisica non è più accettabile, e sviluppano gerarchie di
dominanza che servono a regolare le interazioni sociali. Attraverso lo sviluppo
delle capacità di simbolizzazione e l’acquisizione della capacità verbale, il
bambino può “colpire” indirettamente l’avversario tramite il linguaggio,
insultando o prendendo in giro l’altro. Man mano che aumentano gli strumenti
linguistici e sociali a sua disposizione, il bambino adotta strategie come la
derisione e l’offesa. La natura che il comportamento aggressivo assume
all’interno delle relazioni interpersonali cambia, e diventa sempre più
intenzionale e rivolto ad attaccare e danneggiare l’altro.
L’aggressività, mano a mano che i
bambini crescono, sembra essere utilizzata in modo differente. Il crescente
coinvolgimento cognitivo, porta con sé un maggior controllo del comportamento,
aumentano le possibilità di inibire gli impulsi primitivi sebbene aumenti anche
la capacità di pianificare deliberatamente l’azione aggressiva e di renderla
efficace.
Diverse ricerche hanno studiato la relazione tra aggressività, attaccamento e funzionamento sociale. Da queste ricerche emerge che i bambini aggressivi hanno un attaccamento meno sicuro e mostrano un basso grado di orientamento prosociale.
La riduzione del comportamento aggressivo passa inevitabilmente
attraverso l’acquisizione degli “strumenti” necessari a fronteggiare la propria
impulsività. Imparare a controllare e a gestire l’impulsività costituisce un
significativo progresso nella competenza sociale. La capacità di regolare le
proprie emozioni (in particolare la rabbia) è una componente decisiva della
genesi e della dinamica delle condotte aggressive.
Dott.ssa Stefania Alfano
Psicologa-Psicoterapeuta
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