domenica 21 settembre 2014

Shiatsu e Parkinson

Lo Shiatsu si esegue con pressioni manuali su tutto il corpo. Il suo scopo è quello di ristabilire l’armonia del flusso dell’energia vitale nonché di stimolare le funzioni degli organi della persona, aiutandola a sostenere e attivarne i processi vitali, condizioni indispensabili per poter conquistare e mantenere uno stato di benessere e rilassamento sia fisico che mentale.
Dalla pratica è emerso che il trattamento ha effetti immediati su vari livelli, nelle persone con Parkinson. Si arriva quasi sempre a un buon rilassamento generale, accompagnato da una sensazione di scioltezza e di maggiore stabilità, una postura visibilmente più eretta, miglioramento delle affezioni dolorose. L’umore migliora, le persone si sentono più sollevate, sorridenti e più serene.
Il dialogo con l’operatore all’ inizio e alla fine del trattamento, la possibilità di aprirsi, parlare di sé e di essere ascoltati e accolti, costituiscono un’occasione importante che interrompe l’isolamento in cui la persona si trova, dovuto alla sua condizione di ammalato. L’energia vitale della persona risulta riattivata sia a livello fisico che psichico. La sensazione di benessere, accompagnata da una sensazione di maggiore scioltezza nei movimenti, miglioramento del sonno e della autonomia nei movimenti, continua anche per uno o due giorni dopo il trattamento.

Angela Scognamiglio
Insegnante Shiatsu 

domenica 14 settembre 2014

L'ALTRO COME PROSSIMO: DALLA RELAZIONE-LEGAME ALLA RELAZIONE DI CONTIGUITA'

Le figure dell'Alterità come limite, concorrente, origine e destino si concretizzano all'interno di uno scenario che è la relazione, il legame. La relazione è quel legame emotivo che influenza il comportamento. Abbiamo una relazione quando l'Altro "altera" il comportamento che avremmo avuto se non fosse entrato nel nostro orizzonte, e quando a nostra volta siamo l'Altro per l'Altro.
La relazione così intesa è un punto di un cerchio comprendente libertà, differenza-pluralità e realismo. Il cerchio è una forma ricorsiva senza un punto di inizio-fine, e dove ogni punto è insieme causa ed effetto di ogni altro.
La libertà è quella di attuare il possibile, concedere all'Altro ed a sé il potere di essere un punto di cambiamento, accettare che la relazione possa dirottare la vita. La differenza-pluralità è concepire la relazione come incontro fra diversità, interpersonali ed intrapsichiche. Il realismo è l'importanza del soggetto vero, concreto, carnale rispetto al soggetto ideale, astratto, generale.
Cosa accade se la relazione assume una forma "puntuale", ad arcipelago, in cui i soggetti non si influenzano ma sono semplicemente "prossimi"? E' frequente oggi sentir parlare di incontro e relazione anche per situazioni di questo tipo. Per esempio, si dice che i fedeli "incontrano" il Papa, quando diecimila persone stanno sulla piazza di S. Pietro sotto la finestra del Pontefice. Si chiamano "colleghi" coloro che fanno lo stesso tipo di lavoro, anche se non si sono mai parlati. Si chiamano "compagni" quelli che militano nello stesso partito o fanno lo stesso corteo. Partecipare allo stesso concerto della rock star di turno, fa sentire "vicini" i presenti. Come "prossimi" si sentono quelli che assistono insieme allo stesso struggente tramonto.
Spesso si usano termini come "relazione e "Altro" in quelle situazioni in cui esiste solo una "contemporaneità emozionale". Avere emozioni simili sembra sufficiente per definire la relazione. Questa relazione non è un legame, si scioglie allontanandosi, né implica influenza reciproca o cambiamento. La figura prevalente qui non è il cerchio, ma l'insieme di punti inseriti in uno stesso "campo" spazio-temporale. Anzi, spesso basta lo stesso "campo" psicologico, cioè il vissuto di contiguità e prossimità, a prescindere dalle variabili spazio-temporali. Ci possiamo sentire in prossimità coi trapassati, ma anche con soggetti lontani che non abbiamo mai visto.
Il passaggio dalla relazione-legame alla relazione-prossimità è caratterizzato da tre elementi.
Uno è la sostituzione della dimensione reale alla dimensione ideale. Abbiamo sempre meno relazioni fra persone e sempre più relazioni fra idee. Solidarizziamo coi "disabili", senza avere alcun legame con l'anziana in carrozzina del piano di sotto. Manifestiamo per i diritti umani delle donne islamiche, senza necessariamente portare rispetto per le donne che lavorano nel nostro ufficio.
Un altro elemento è il prevalere dei valori simile-singolare sui valori differente-plurale. E' "prossimo" chi sentiamo simile, e le relazioni di similarità corrispondono ad una concezione interpersonale e intrapsichica come mono-dimensionale.
Il terzo elemento è il determinismo, contrapposto alla libertà. Le relazioni di prossimità danno conferme, senza cambiare. Rassicurano, facendo prevalere la ripetizione e l'eco sulla variazione o la biforcazione.







Il passaggio dalle relazioni-legame alle relazioni di prossimità/contiguità è insieme effetto e causa di numerosi fenomeni che interessano la vita quotidiana attuale. Il primo è che diminuiscono le relazioni totali a favore di quelle parziali. Stiamo sostituendo le relazioni intime, profonde e polidimensionali con relazioni di superficie e monodimesionali. Le relazioni per "fare insieme" prendono il posto delle "relazioni per essere-stare insieme". Sempre meno legami riescono a soddisfare la pluralità dei nostri bisogni. L'urgenza dei quali viene soddisfatta moltiplicando gli ambienti che attraversiamo. Questo offre una spiegazione della ansiosa mancanza di tempo che sembra colpire tutti, malgrado il tempo di lavoro sia mediamente diminuito. Quasi tutti lavorano -salvo alcune minoranze- meno, e quasi tutti hanno meno tempo. Il fatto è che molti, di fronte alla diminuzione delle relazioni-legame, cercano di sostituirle con situazioni di prossimità che vengono moltiplicate: abbiamo "vicini" che condividono con noi le esperienze di fitness, "prossimi" con cui balliamo, contigui che vivono un viaggio con noi, simili con cui abbiamo idee uguali. Rincorriamo una miriade di figure di prossimità, per sostituire le relazioni-legame che non siamo più in grado di, o vogliamo sempre meno, intrecciare.


Dott.ssa Giuseppina D'Auria
Pedagogista 

lunedì 1 settembre 2014

La costruzione del Sé

E’ all’interno della famiglia che ciascuno sviluppa il senso di sé, come individuo autonomo che appartiene e può dipendere da un certo gruppo. 
La famiglia d’origine ha un ruolo essenziale nello sviluppo del sè e dell’individuazione. Infatti, alcuni aspetti della nostra personalità vengono rinforzati, altri aspetti, invece, vengono scoraggiati, mentre altri limitati. L'aria che il bambino respira nel suo ambiente familiare porta alla strutturazione di elementi della personalità, del suo carattere, e del suo essere nel mondo. Grande influenza hanno anche i messaggi non verbali, comportamentali e gestuali; il bambino osserva e registra quotidianamente le azioni dei genitori, e, soprattutto, nei casi di incongruenza tra parole e fatti, tenta di dare un significato a quello che vede intorno a sé.
Le relazioni familiari contengono, intessute tra loro, le caratteristiche della sicurezza del legame di attaccamento e dell’intersoggettività. All’interno della relazione si promuove un senso di sicurezza, ognuno conosce/è conosciuto, sente/viene sentito, percepisce/è percepito, dà/riceve in modo che ognuno di queste diadi genera, alla presenza dell’altro, un senso di sicurezza psicologica crescente (Huges, 2007).
L’attaccamento è  un sistema che regola prima di tutto la quotidianità, non ha a che fare con il verbale, è  una procedura comportamentale, è qualcosa che guida il comportamento, è qualcosa ci fa avvicinare a qualcuno che giudichiamo in grado di darci una mano nel momento di difficoltà, una figura protettiva: la figura di attaccamento. Questo avviene in situazioni in cui c’è qualche cosa che ci fa percepire un abbassamento delle condizioni di sicurezza, e noi non ci sentiamo più al sicuro: c’è la sensazione di pericolo e mi avvicino a qualcuno che mi possa proteggere, aiutare, confortare. Quando non ci sentiamo al sicuro emergono precise emozioni che fanno parte di questa  quotidianità; fra queste emozioni prima di tutto c’è la paura in quanto è l’emozione base di attivazione del sistema di attaccamento, la paura come percezione di pericolo.
Il caregiver deve occuparsi della regolazione affettiva del bambino (Taylor et al. 2000), ossia deve fornire risposte adeguate ai suoi stati di attivazione emotiva, soprattutto quando si attiva la paura, anche attribuendo a questi un preciso significato. Questo perché, in un primo momento, il bambino,  non è capace di comprendere e far fronte autonomamente agli stimoli emotivi, o almeno a quelli che superano la sua “finestra di tolleranza” (Siegel 1999), ovvero quelli che risultano essere eccessivamente intensi rispetto alle sue risorse e capacità.
Dall’holding (sostegno) materno, inoltre, deriva l’abilità di tenere se stessi nella propria mente, ovvero, la capacità di autoriflessione e la possibilità di concepire se stessi e gli altri come persone che hanno una mente.  Il Sé si costruisce attraverso il linguaggio e l'azione, consentendo all'individuo di autopercepirsi come un' entità dotata di rilevanza sociale e di assumere il punto di vista dell' altro come criterio per la propria condotta: “Nel corso di questo processo il bambino  diventa gradatamente un essere sociale nella sua stessa esperienza, e agisce verso se stesso in modo analogo a come agisce verso gli altri, e sviluppando questa conversazione nel proprio foro interiore, dà vita a quel campo che è chiamato mente” (Mead,1934).
Quello che l’individuo sviluppa e si porta dentro è una mappa di come vede e percepisce se stesso, gli altri e le sue relazioni. Secondo le parole stesse di Bowlby, “Ogni individuo costruisce modelli  operativi del mondo e di se stesso in esso, con l’aiuto dei quali percepisce gli avvenimenti, prevede il futuro e costruisce i suoi programmi. Nel modello operativo del mondo che  ognuno si costruisce, una caratteristica chiave è la nozione che abbiamo di chi siano le figure di attaccamento, di dove possano essere trovate e di come ci si può aspettare che rispondano. Similmente, nel modello operativo di se stessi che ognuno di noi si costruisce, una caratteristica chiave è la nostra nozione di quanto accettabili o inaccettabili noi siamo agli occhi delle nostre figure di attaccamento” (Bowlby, 1973). 

Dott.ssa Stefania Alfano
Psicologa-Psicoterapeuta