E’ all’interno della famiglia che ciascuno
sviluppa il senso di sé, come individuo autonomo che appartiene e può dipendere
da un certo gruppo.
La famiglia d’origine ha un ruolo essenziale
nello sviluppo del sè e dell’individuazione. Infatti, alcuni aspetti della nostra personalità vengono rinforzati, altri aspetti, invece, vengono scoraggiati, mentre altri limitati. L'aria
che il bambino respira nel suo ambiente familiare porta alla strutturazione di
elementi della personalità, del suo carattere, e del suo essere nel mondo.
Grande influenza hanno anche i messaggi non verbali, comportamentali e
gestuali; il bambino osserva e registra quotidianamente le azioni dei genitori,
e, soprattutto, nei casi di incongruenza tra parole e fatti, tenta di dare un
significato a quello che vede intorno a sé.
Le relazioni familiari contengono, intessute
tra loro, le caratteristiche della sicurezza del legame di attaccamento e
dell’intersoggettività. All’interno della relazione si promuove un senso di
sicurezza, ognuno conosce/è conosciuto, sente/viene sentito, percepisce/è
percepito, dà/riceve in modo che ognuno di queste diadi genera, alla presenza
dell’altro, un senso di sicurezza psicologica crescente
(Huges, 2007).
L’attaccamento
è un sistema che regola prima di tutto
la quotidianità, non ha a che fare con il verbale, è una procedura comportamentale, è qualcosa che
guida il comportamento, è qualcosa ci fa avvicinare a qualcuno che giudichiamo
in grado di darci una mano nel momento di difficoltà, una figura protettiva: la
figura di attaccamento. Questo avviene in situazioni in cui c’è qualche cosa
che ci fa percepire un abbassamento delle condizioni di sicurezza, e noi non ci
sentiamo più al sicuro: c’è la sensazione di pericolo e mi avvicino a qualcuno
che mi possa proteggere, aiutare, confortare. Quando non ci sentiamo al sicuro emergono
precise emozioni che fanno parte di questa quotidianità; fra queste emozioni prima di
tutto c’è la paura in quanto è l’emozione base di attivazione del sistema di
attaccamento, la paura come percezione di pericolo.
Il caregiver deve
occuparsi della regolazione affettiva del bambino (Taylor et al. 2000), ossia
deve fornire risposte adeguate ai suoi stati di attivazione emotiva,
soprattutto quando si attiva la paura, anche attribuendo a questi un preciso
significato. Questo perché, in un primo momento, il bambino, non è capace di comprendere e far fronte
autonomamente agli stimoli emotivi, o almeno a quelli che superano la sua “finestra di tolleranza” (Siegel 1999),
ovvero quelli che risultano essere eccessivamente intensi rispetto alle sue
risorse e capacità.
Dall’holding
(sostegno) materno, inoltre, deriva l’abilità di tenere se stessi nella propria
mente, ovvero, la capacità di autoriflessione e la possibilità di concepire se stessi e
gli altri come persone che hanno una mente. Il Sé si costruisce attraverso il linguaggio e l'azione, consentendo
all'individuo di autopercepirsi come un' entità dotata di rilevanza sociale e
di assumere il punto di vista dell' altro come criterio per la propria condotta: “Nel corso di questo processo il bambino diventa gradatamente un essere
sociale nella sua stessa esperienza, e agisce
verso se stesso in modo analogo a come agisce verso gli altri, e sviluppando
questa conversazione nel proprio foro interiore, dà vita a quel campo che è chiamato mente”
(Mead,1934).
Quello che l’individuo
sviluppa e si porta dentro è una mappa di come vede e percepisce se stesso, gli
altri e le sue relazioni. Secondo le parole stesse di Bowlby, “Ogni individuo
costruisce modelli operativi del mondo e
di se stesso in esso, con l’aiuto dei quali percepisce gli avvenimenti, prevede
il futuro e costruisce i suoi programmi. Nel modello operativo del mondo
che ognuno si costruisce, una
caratteristica chiave è la nozione che abbiamo di chi siano le figure di
attaccamento, di dove possano essere trovate e di come ci si può aspettare che rispondano.
Similmente, nel modello operativo di se stessi che ognuno di noi si costruisce,
una caratteristica chiave è la nostra nozione di quanto accettabili o
inaccettabili noi siamo agli occhi delle nostre figure di attaccamento” (Bowlby,
1973).
Dott.ssa Stefania Alfano
Psicologa-Psicoterapeuta
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