La fattispecie di “atti persecutori” è stata introdotta nel nostro sistema penale solo in tempi relativamente recenti, ad opera dell’art. 7 D.L. 23 febbraio 2009, n. 11 che ha introdotto all’interno del libro secondo, titolo dodicesimo rubricato “Dei delitti contro la persona”, l’art. 612 bis, che punisce con la reclusione da sei mesi a cinque anni il fatto di chi “con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”.
Nel linguaggio comune, ma anche in quello degli addetti ai lavori, il delitto viene più spesso chiamato “stalking”, termine che deriva dal verbo inglese to stalk, che appartiene al linguaggio tecnico della caccia e che letteralmente significa “fare la posta”, “avvicinarsi di soppiatto alla preda”. Nel linguaggio comune, esso è usato nel senso di “perseguitare”, “seguire”, “pedinare”, “braccare”, “molestare”, “disturbare”, “assillare”, “ricercare” o “fare qualcosa di nascosto”. In Italia il comportamento che integra la fattispecie ha assunto i caratteri della molestia e persecuzione. Generalmente, in linee di massima, si configura il reato di stalking ogni qual volta l’autore ricerchi in maniera persistente e ostinata di contattare la vittima, la quale invece reputi tali contatti come indesiderati, e tale ricerca si esplica in una serie di condotte intrusive, moleste, minacciose o violente, tali da suscitare nella vittima disagio, fastidio, angoscia, paura e preoccupazione. L’attività persecutoria si caratterizza per la reiterazione dei comportamenti intrusivi e assillanti, e per essere tali comportamenti indesiderati; dunque la relazione instauratasi è sostanzialmente unilaterale, voluta dal solo molestatore.
Attualmente, purtroppo, i reati di stalking sono sempre più frequenti e, da quanto appreso dalla quotidiana cronaca nera, spesso sfociano nella commissione di reati più gravi, quali l’omicidio della vittima. Visto il tragico epilogo con cui si conclude la vicenda, si dubita sulla efficacia degli strumenti giuridici forniti che dovrebbero impedire o scoraggiare lo stalker nel commettere ulteriori e più gravi reati. Stando ai dati forniti dalla Direzione Generale di Statistica pubblicata dal Ministero della Giustizia nel giugno 2014, “il 91,1% dei delitti di atti persecutori è commesso da maschi”, “in poco meno di un quinto dei casi analizzati la nazionalità dei soggetti coinvolti è straniera”, e “quasi un terzo degli autori è disoccupato o con lavoro saltuario”. Tale studio ha preso in esame la documentazione relativa ai procedimenti definiti presso i tribunali italiani negli anni 2011-2012, interessando 14 sedi di tribunale maggiormente rappresentative della realtà nazionale per dimensione e luogo. Dalla lettura delle sentenze risulta che per il 50,6% del campione il movente è quello del dichiarato tentativo di “ricomporre il rapporto”. Seguono la gelosia e l’ossessione. Nella maggior parte dei casi (73,9%) autore e vittima hanno avuto nel corso della loro vita una relazione sentimentale, solo 5 volte su 100 non hanno avuto alcun rapporto pregresso.
Veniamo ora all’identificazione del reato secondo il codice penale. Secondo l’art. 612-bis c.p. integra gli estremi del reato di atti persecutori la reiterazione della condotta criminosa, rappresentata da minacce e/o molestie. Secondo l’ormai consolidata interpretazione dottrinale e giurisprudenziale, per minaccia si intende la prospettazione di un male futuro e prossimo; per molestia, ogni attività che alteri dolorosamente o fastidiosamente l’equilibrio psico-fisico normale di un individuo. La condotta criminosa può realizzarsi secondo una molteplicità di forme idonee a produrre angoscia e paura nella vittima. A titolo esemplificativo, commette il reato di stalking chi segue ossessivamente sul luogo del lavoro la ex coniuge, ingerendo il lei un perdurante stato di ansia, costringendola a modificare le proprie abitudini di vita (vedi: Trib. Milano, 31 marzo 2009); chi rivolge apprezzamenti mandando baci, invita la vittima a salire a bordo dell’auto ed indirizza sguardi insistenti e minacciosi (Cass. Pen. 12 gennaio 2010, n. 11945); chi rivolge molestie e ricatti verbalmente, per posta elettronica, per telefono o messaggio attraverso i social network (cfr. Cass. Pen., 16 luglio 2010, n. 32404; Trib. Napoli, 30 giugno 2009). Per tutte queste condotte risulta necessario che le minacce o le molestie siano reiterate. La reiterazione evoca non solo una pluralità di condotte, ma altresì il loro verificarsi in tempi e contesti differenti.
Oltre alla reiterazione degli atti persecutori, ai fini della configurazione del reato è altresì necessaria la produzione di almeno uno degli eventi menzionati dalla norma, ovvero:
1) un perdurante e grave stato di ansia o di paura nella vittima, che trova espressione in quelle forme patologiche di stress o di alterazioni dell’equilibrio psicologico del soggetto passivo.
2) un fondato timore per l’incolumità propria, di un prossimo congiunto o di persona legata alla vittima da una relazione affettiva, il quale può comportare (ma non è essenziale ai fini della configurazione del reato) il mutamento delle abitudini di vita della persona offesa.
Lo stalker è punito con una reclusione da sei mesi a cinque anni, salvo che il fatto non costituisca più grave reato. La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità. Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. Si procede tuttavia d'ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d'ufficio. Durante il procedimento penale può essere applicata la misura cautelare a scopo coercitivo di divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa di cui all’art. 282 ter c.p.p.
Avv. Tiziana Alfano
Fonte: Ministero della Giustizia,