Il trauma psicologico ha
profondi effetti sulla mente, sul corpo e sulle relazioni interpersonali.
Addentrandosi all’interno del mondo della psicotraumatologia e
confrontandosi con il trauma psicologico, si ha la sensazione di guardare in
uno specchio infranto, dove tutto appare frammentato ed è fastidioso da
guardare, dove si perdono i confini del vissuto e della memoria, aprendo ad un
nuovo e strano mondo, fatto di sconvolgenti stratificazioni di dolore.
Esiste un grado di
soggettività riguardo le ferite dell’anima. Infatti queste non sono tutte
uguali e tantomeno uguali per tutti. Un qualsivoglia evento, seppure
apparentemente elaborato a livello cognitivo, può essere "indigeribile" dal punto di vista emotivo, fino ad avere
ripercussioni nell’ambito delle relazioni interpersonali, continuando ad "agire" il suo effetto "traumatizzante", attraverso i
ricordi. Questo effetto potrebbe rivelarsi "disturbante" nel vissuto
di una persona, mentre potrebbe essere "innocuo"
su altre persone.
Di fronte ad un evento
traumatico, la risposta della persona comprende paura intensa, il "sentirsi
inerme", o addirittura la sensazione di "orrore". L’elemento di
percepita impotenza appare di cruciale importanza nella definizione di trauma.
In questo senso, il trauma è definito come un
evento emotivamente non sostenibile per chi lo subisce o meglio, come lo definisce Herman (1992)
"il trauma psichico è il
dolore degli impotenti. Nel momento del trauma, la vittima è resa inerme da una
forza soverchiante".
Queste "ferite dell’anima" sono esperienze il cui
impatto emotivo risulta essere intenso e negativo, producendo nel nostro
cervello vere e proprie cicatrici biologiche che condizionano i nostri
atteggiamenti, le nostre emozioni, la nostra personalità, e le nostre capacità
relazionali. Queste cicatrici rappresentano (a livello di reti neurali) il
ricordo di quello che è successo. Come afferma van der Kolk B. (1994), "il problema non è quello che è successo, ma
il ricordo di quello che è successo".
È dunque il ricordo
dell’evento che diventa ad un certo punto il reale problema? I ricordi, di qualsiasi natura essi sono, non corrispondono mai, nella mente, a
contenuti fissi o tracce fisiche oggettive. Essendo i ricordi delle
"azioni", l’attività del "ricordare" rappresenta sempre un
costruire attivamente. Le cicatrici degli
avvenimenti più dolorosi non scompaiono facilmente dal cervello, mostrandone le
conseguenze sintomatologiche anche a distanza di decenni. Questo accade perché
le memorie traumatiche fin dall’inizio non si integrano nella sintesi personale
attraverso la funzione di realtà. I
ricordi possono essere frammentati, non accessibili, parzialmente accessibili o
accompagnati da forti emozioni.
In definitiva possiamo dire che, grazie alle moderne tecniche di
neuroimaging, l’emotività legata ai cosiddetti "ricordi vivi", ovvero quelli
che, per intenderci, "fanno ancora
male", risiede principalmente nell’emisfero destro. Ed è questo il
luogo dove il ricordo traumatico resta "bloccato" e
"frammentato". Attraverso questo
meccanismo è come se ci trascinassimo dietro le emozioni legate a quel ricordo,
che rimangono, per così dire, "aggrappate
al passato" anche quando acquisiamo una visione razionale del trauma
subito, fornendoci l’impressione che il trauma costituisca una sorte di
"blocco nella memoria", che impedisce l’integrazione degli eventi
traumatici nella coscienza e nell’identità.
L’esperienza traumatica in sè, crea le condizioni affinchè si verifichi
un difetto di registrazione dell’evento all’interno della memoria, creando di
conseguenza una sorta di "corto circuito" del flusso abituale della
coscienza.
Le memorie traumatiche non si trovano sotto forma di ricordi
accessibili verbalmente, infatti dalle evidenze delle immagini elaborate dalla
tomografia mostravano una "disattivazione" (una specie di anestesia)
dell'area di Broca, che è quella parte del cervello responsabile
dell'espressione del linguaggio. Infatti la tipica espressione che si utilizza
nel rievocare l’esperienza traumatica è:
"Non trovo le parole per
descrivere quello che ho vissuto". Questo perché le memorie legate
agli eventi traumatici, molto spesso, vengono immagazzinate in una zona del
cervello dove non possono essere recuperati, se non sotto forma di sensazioni
vivide e di immagini.
Nella terapia dei traumi l’integrazione diventa quindi qualcosa di
molto diverso dalla interpretazione, dalla intellettualizzazione, dalla
ricostruzione storico-narrativa di una esistenza, dalla correzione di convinzioni disfunzionali. Ma vediamo come
trattare i traumi. In un primo momento, dopo aver subito lo stress, il soggetto
ha bisogno di un "luogo sicuro",
ovvero di un "contenimento".
In un secondo momento le tecniche terapeutiche che possono essere utilizzate
sono diverse e dipendono dai modelli di riferimento del terapeuta.
Dott.ssa Stefania Alfano,Psicologa-Psicoterapeuta
Dott. Roberto Di Polito,Psicologo-Psicoterapeuta
(versione integrale dell'articolo su
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