sabato 27 dicembre 2014
giovedì 11 dicembre 2014
La costruzione del legame di coppia: perché ci si sceglie?
L’amore è un impulso potente che spinge
due persone a legarsi, e può essere visto come il frutto dell’evoluzione e
della selezione naturale e, pertanto, può essere assimilabile all’amore che
lega il bambino alla madre. Questo non significa che si ama il proprio partner
come se questi fosse la propria madre, ma che esistono delle somiglianze sostanziali
fra i due legami a tal punto che nella sua struttura universale, il rapporto
madre-bambino può essere utilizzato per capire la complessità del legame
d’amore fra gli adulti.
Il legame madre-bambino è complementare, in quanto c’è un piccolo che chiede aiuto di fronte ad un pericolo, a seguito dell’attivazione del suo sistema di attaccamento; dall’altra parte, c’è un adulto che dà cure perché si attiva il suo sistema di accudimento nei confronti di chi chiede aiuto.
Il legame di coppia, invece, è un rapporto caratterizzato dalla reciprocità, che a differenza del primo, a secondo delle situazioni, attiva sia il sistema dell’attaccamento sia dell’accudimento (Attili G., 2004). Infatti, le componenti fondamentali che caratterizzano la relazione di coppia come legame di attaccamento sano, sono simili alle componenti del legame madre-bambino: mantenimento del contatto, rifugio sicuro, il bisogno di sentirsi rassicurati e confortati dal partner, base sicura quando il partner è percepito come disponibile in caso di necessità e ansia da separazione quando il partner è assente.
Il legame madre-bambino è complementare, in quanto c’è un piccolo che chiede aiuto di fronte ad un pericolo, a seguito dell’attivazione del suo sistema di attaccamento; dall’altra parte, c’è un adulto che dà cure perché si attiva il suo sistema di accudimento nei confronti di chi chiede aiuto.
Il legame di coppia, invece, è un rapporto caratterizzato dalla reciprocità, che a differenza del primo, a secondo delle situazioni, attiva sia il sistema dell’attaccamento sia dell’accudimento (Attili G., 2004). Infatti, le componenti fondamentali che caratterizzano la relazione di coppia come legame di attaccamento sano, sono simili alle componenti del legame madre-bambino: mantenimento del contatto, rifugio sicuro, il bisogno di sentirsi rassicurati e confortati dal partner, base sicura quando il partner è percepito come disponibile in caso di necessità e ansia da separazione quando il partner è assente.
Nel momento in cui c’è una distorsione
in entrambi i tipi di legame, per esempio è la madre a chiedere aiuto e non
capisce i bisogni del bambino, oppure il partner non assolve le funzioni di
sicurezza e protezione (es. un tradimento), la relazione diventa patologica e
patogena.
Quali sono le fasi che caratterizzano il
legame di coppia?
La prima fase è caratterizzata dal
desiderio e dall’attrazione: la coppia sperimenta un “delirio passionale” o
“simbiosi”, durante il quale l’idealizzazione del partner è estrema, si pensa a
lui come l’anima gemella ed è l’oggetto che soddisfa ogni desiderio. Si è molto
egoisti rispetto ai propri bisogni che hanno la precedenza sul resto e che,
comunque, sembrano essere totalmente appagati dall’altro. Questa prima fase si
interrompe, per favorirne il passaggio ad una nuova, caratterizzata da
conflitti, da ambiguità e da ricerca della differenzazione, inoltre, si
manifestano le primi crisi d’ansia utili per lo scioglimento della simbiosi.
Questa fase corrisponde al periodo della contro-dipendenza, della disillusione,
della sofferenza dovuta alla scissione tra l’ideale e il reale, nascono i primi
sintomi di incompatibilità e si comincia a pensare alla necessità di creare una
giusta distanza. Una buona elaborazione di questa fase ne permette il passaggio
alla successiva.
L’indipendenza caratterizza la terza
fase. Si tratta di un periodo di sperimentazione, la coppia sente l’esigenza di
uscire dal nucleo a due e di esplorare l’esterno. E’ forse il periodo più
problematico e pressante dal punto di vista conflittuale; si presentano litigi e
crisi emozionali legate all’alternarsi di rimpianti e speranze.
L’ultima fase dell’interdipendenza si
basa sull’accettazione dell’integrazione di un legame imperfetto: i partner
giungendo alla consapevolezza che l’altro possa essere imperfetto e che la
scelta del partner è indubbiamente collegata ai modelli di attaccamento appresi
nel tempo, attuano un processo di riavvicinamento che permette loro di
acquisire una costanza dell’oggetto d’amore che travalica i conflitti e permette
il riaccendersi del desiderio (Mahler
M.,1968).
I processi
di separazione e individuazione giocano, quindi, un ruolo fondamentale nella
costruzione della coppia. Ed è a quel punto che ogni partner
porta nella relazione i propri modelli operativi interni, gli schemi cognitivi,
e le rappresentazioni di sé e degli altri e i suoi miti. La scelta del partner può, quindi, essere considerata come espressione di questa struttura che, come i miti, si
costruisce, si modifica nel tempo e
viene a collocarsi dentro una serie di rapporti in continua evoluzione,
in cui si creano sempre nuove connessioni o divergenze rispetto al
significato originario. La decisione iniziale
apparentemente spontanea e libera, non ‘ragionata’, acquista un senso solo alla luce
di quello che accade in seguito e dall'intreccio tra i miti dell’uno e dell’altro
(Angelo C., 1999). Quando
il mito è rigido, non evolutivo, incapace di adattarsi alle trasformazioni
delle fasi del ciclo vitale, si crea un rimescolamento di “infedeltà irrisolte”,
di prescrizioni familiari implicite, di attese, di idealizzazioni di sé, del
partner e della relazione, e la coppia si avvia verso una fase di “stallo”. Possiamo considerare lo
stallo e le difficoltà di coppia, non solo come momenti di crisi e di
difficoltà ma anche come “sforzi riparativi per correggere, controllare, cancellare
e difendersi da storie disturbanti appartenenti alle famiglie d’origine”. La
maggior parte delle persone non “vede” il partner per quello che esso è, ma
viene caricato da aspetti appartenenti al proprio passato, a quelli della
propria famiglia d’origine e da aspetti scissi di sé (Framo, 1999).
La coppia verrebbe ad
essere imprigionata in una spirale d’incomprensioni e fraintendimenti in cui le
rotture delle comunicazioni affettive non sono seguite da processi di riparazione.
Essere “interdipendenti”, in questo
contesto, significa che gli stati della mente dei due individui si influenzano
reciprocamente però in senso negativo (Siegel, 2001). Gli aspetti che portano
non alle incomprensioni, ma alla rottura del legame di coppia, sono da situare
all’ultimo stadio di questo continuum, e vanno ricercati nei contesti
relazionali traumatici, all’interno dei quali, i rispettivi partner hanno
appreso o la sfiducia nell’altro (es. un genitore imprevedibile) o la paura
dell’intimità affettiva (oscillando tra la ricerca di vicinanza e di separazione),
oppure comportamenti inappropriati di controllo della
relazione (Liotti, Farina, 2011). Questo apprendimento, all’interno
della relazione di coppia disfunzionale, viene riproposto attraverso schemi
ripetitivi e rigidi come la svalutazione, la disconferma, e la
ridicolizzazione. Ne viene fuori una situazione paradossale, in cui il partner
prova dolore per queste modalità e contemporaneamente è costretto a chiedere
aiuto a colui che la infligge.
L’obiettivo
di una psicoterapia di coppia, è quello di aiutare la relazione a superare l’impasse. Lo scopo
diventa quello di riparare le ferite di attaccamento offrendo, all'interno del percorso terapeutico, una esperienza
tangibile di disponibilità, empatia e affidabilità. La coppia, sciogliendo le
proprie difese, può recuperare la fiducia e avviare un sano funzionamento.
Stefania Alfano, Angela Funaro, Iole Martino
Estratto dall'articolo pubblicato sulla rivista Psicologi Calabria
lunedì 13 ottobre 2014
Colori & Sapori d'Autunno
Con
l'arrivo dell'autunno, scegliamo un'alimentazione equilirata
sfruttando al meglio frutta e verdure
di stagione.
L'autunno
è appena iniziato, le giornate si accorciano e il freddo inizia ad
arrivare, facendo crescere la voglia di alimenti dannosi per la linea
(come i dolci ad esempio) verso i quali solitamente si è attratti
con l’avvicinarsi del freddo. L’organismo, infatti, produce
melatonina che crea un forte bisogno di carboidrati e zuccheri a
tutto svantaggio del fegato, in primis, e del colesterolo “buono”.
E'
importante quindi organizzarsi per seguire un'alimentazione
equilibrata, sfruttando al meglio frutta e verdure
di stagione colorate,
ricche di vitamine e antiossidanti che aiutano a proteggere
l'organismo, riempiono lo stomaco e soddisfano il palato, ma
soprattutto che prevengano i mali di stagione.
Le
mele sono le protagoniste assolute: ricche di fibre e povere di
calorie, proteggono l’organismo dal rischio di tumori e malattie
cardiovascolari. Le pere, invece, sono perfette per combattere
l’azione acidificante legata al consumo di alimenti di origine
animale, e sono un vero e proprio concentrato di salute: contengono
l’85% di acqua, il 9% di zuccheri (per lo più fruttosio), fibre,
potassio, vitamine e flavonoidi. L'uva ha componenti antiossidanti,
risulta avere proprietà antitumorali, antinfiammatorie e protettive
dell’apparato cardiovascolare, mentre i semi esercitano un’azione
cardio e neuroprotettiva (nonché lassativa). Autunno è anche
sinonimo di funghi con il loro basso contenuto calorico (solo 20
calorie per 100 grammi), e consistente apporto di fibre (ecco
spiegato il senso di sazietà dopo averli mangiati!) e all’alto
contenuto proteico.
Serve inoltre individuare le verdure che l'autunno ci offre e valutare se acquistarle fresche o surgelate considerando il tempo che si ha a disposizione per cucinarle, in entrambi i casi avremo una buona percentuale di elementi nutritivi.
La
stagione
autunnale offre
varie tipologie di vegetali come zucca,
barbabietola, broccolo, cavolo cappuccio, funghi, cavolfiori, cavoli,
cavolini di Bruxelles, porri, finocchi, bietole a coste, indivia
belga, rapa e altre ancora, particolarmente
versatili e gustose.
Una
volta individuate le verdure che soddisfano maggiormente, il
consiglio è di mangiarne due
o tre porzioni al giorno cercando
di variare il più possibile, ad esempio cambiando colore ad ogni
pasto. Senza dubbio la vostra linea
ne
trarrà giovamento in quanto le verdure aiutano a riempire lo stomaco
tenendo lontana la fame.
Se poi si scelgono vegetali dolci come la zucca, si soddisfa il
palato senza esagerare con le calorie.
Ogni colore ha proprietà differenti e perciò utilissime al nostro organismo, soprattutto in questa stagione di passaggio nella quale ci si deve adattare piano piano al clima freddo. Via libera perciò alla fantasia con ricette di ogni tipo, ad esempio sformati, verdure gratinate al forno, vellutate e creme, lasagne vegetariane, pasta condita con verdure saltate, polpette vegetali, ecc. .
Per
un autunno all’insegna di benessere e salute è bene che questi
alimenti siano i protagonisti della dieta quotidiana, che come sempre
dovrà essere bilanciata e personalizzata. Con un occhio all’
attività fisica, naturalmente!
Per
concludere ricordate che le buone abitudini si imparano da bambini,
perciò se siete genitori, insegnanti o nonni stimolate i vostri
bimbi cercando al supermercato o nel frigorifero verdure di colori
diversi e cucinate con loro, poco alla volta mangiare verdure
diventerà un bel gioco!
Dott.ssa
Guerrera Mariacarmela
Biologa
Nutrizionista
giovedì 2 ottobre 2014
Cosa mettere nello zainetto?!
Con
l'autunno appena arrivato, adulti e bambini, ritornano alle loro care
abitudini e alle regole che scandiscono le giornate, ignorate durante
le vacanze. Per i nostri piccoli le vacanze rappresentano spesso
l’assenza di regole anche dal punto di vista alimentare: si
svegliano più tardi, spesso saltando la colazione e la merenda,
consumano più fuori-pasto e pranzano e cenano con orari molto
diversi dal solito.
Ed
eccoci qui, al ritorno a scuola, e ai famosi e tanto raccomandati 5
pasti giornalieri.
La
merenda è anch’essa un pasto fondamentale per la giornata
alimentare
del bambino, in quanto serve da “spezza-fame” ed evita che le ore
di digiuno tra la colazione o, per chi malauguratamente non la fa, la
cena della sera precedente e il pranzo, o tra il pranzo e la cena
diventino eccessive, portando ad avere una gran fame al pasto
successivo e ad alimentarsi in modo quantitativamente e
qualitativamente scorretti.
Dato
il suo ruolo di “spezza-fame”, la
merenda non dovrebbe fornire troppe calorie,
giusto il 5-10% di quelle che il bambino, in base alla sua età e
sesso, dovrebbe consumare nell’intera giornata. Per la maggior
parte dell’età pediatrica diciamo che siamo sull’ordine delle
70-100 kcal.
Ma,
pur essendo così importante, la merenda difficilmente viene gestita
correttamente dagli adulti, che tendono spesso o a sottostimarla,
facendola così anche saltare spesso ai bambini, vuoi per una sorta
di recupero calorico, vuoi dandosi la giustificazione che il bambino
non ne sente la necessità; o, viceversa, a sovrastimarla, fornendo
alimenti o porzioni molto più vicine a quelle di un pasto. La
merenda non deve determinare un eccessivo introito di calorie,
zuccheri e grassi saturi, altrimenti si finisce per saziare troppo il
bambino, facendogli saltare il pranzo e/o la cena e alterando i ritmi
alimentari della sua giornata.
Per
cui bisogna aiutare
i nostri bambini a consumare una merenda corretta dal
punto di vista nutrizionale, ma
cosa scegliere per l’intervallo dei più piccoli?
L’ora
della merenda dei bambini si sa, può essere molto rischiosa in
quanto è un momento nel quale di solito l’appetito sale e crescono
le tentazioni di snack, merendine ipercaloriche, zeppe di grassi
saturi, coloranti e conservanti.
Il
modo più semplice per evitare questi rischi è quello di giocare
d’anticipo e attrezzarsi per invogliare i bambini, anche nell'ora
dello spuntino, a
scegliere un’alimentazione sana e nutriente come ad esempio le
merende preparate in casa.
Ecco
qualche consiglio utile su come organizzare la merenda dei bambini a
scuola in maniera sana e genuina.
Nutrire
i bambini in maniera sana non significa escludere completamente i
dolci dalla loro alimentazione. L’importante è ridurre al minimo
il consumo di merendine confezionate e sostituirle con un dolce
preparato in casa con ingredienti genuini e senza conservanti.
Un'
alternativa dolce e golosa per la merenda dei bambini a scuola è
anche una
bella fetta di pane e marmellata. Un’idea
semplice e classica ma anche sana e genuina soprattutto se la
marmellata la preparate in casa con la frutta di stagione.
I
bambini si sa, non amano particolarmente la frutta. Per far
apprezzare loro mele, arance, mandarini, melone, uva e così via, il
segreto è presentarla loro sotto forme creative e fantasiose.
In
alternativa alla frutta fresca riempite un piccolo contenitore
ermetico con un po’ di frutta secca, uva passa, mandorle, noci e
nocciole: l’importante
è verificare prima con il pediatra che i piccoli non siano allergici
a tali alimenti e non esagerate con le quantità.
Infine,
la merenda più classica in assoluto: il
panino imbottito; per
una merenda sana e nutriente, provate a camuffare la lattuga con il
formaggio o il tipo di affettato che il bimbo preferisce. Un' altra
scelta è uno yogurt bianco, cremoso o alla frutta a cui accompagnare
una buona manciata di cereali.
Serve
non sovrastimare il consumo energeticodato
da un’ora di sport, valutando criticamente il tempo che realmente
viene passato in attività di movimento ( e se ci fate caso, spesso
equivale a circa mezz’ora, decisamente non molto!).
Non
è necessartio compensare con la merenda pomeridiana il mancato
pranzo,
perché in questo modo sosterremo il bambino nel suo rifiuto della
mensa scolastica; invece, con fermezza, invitiamolo a consumare o
almeno assaggiare il pranzo, e non cediamo alle proteste di aver fame
all’uscita di scuola: il pranzo lo aveva a disposizione, se lo ha
rifiutato, la prossima volta non lo farà!
E'
molto importante abituare i bimbi a non mangiare sempre gli stessi
cibi, ma soprattutto offrire loro delle valide alternative alle
merendine confezionate, quando frequentano la scuola: innanzi tutto
per motivi di salute (l'obesità tra i bimbi cresce in modo
preoccupante), ma anche perchè occorre fornire loro la giusta
energia per lo studio.
Dott.ssa Guerrera Mariacarmela
Biologa Nutrizionista
domenica 21 settembre 2014
Shiatsu e Parkinson
Lo Shiatsu si esegue con pressioni manuali su tutto il corpo. Il suo scopo è quello di ristabilire l’armonia del flusso dell’energia vitale nonché di stimolare le funzioni degli organi della persona, aiutandola a sostenere e attivarne i processi vitali, condizioni indispensabili per poter conquistare e mantenere uno stato di benessere e rilassamento sia fisico che mentale.
Dalla pratica è emerso che il trattamento ha effetti immediati su vari livelli, nelle persone con Parkinson. Si arriva quasi sempre a un buon rilassamento generale, accompagnato da una sensazione di scioltezza e di maggiore stabilità, una postura visibilmente più eretta, miglioramento delle affezioni dolorose. L’umore migliora, le persone si sentono più sollevate, sorridenti e più serene.
Il dialogo con l’operatore all’ inizio e alla fine del trattamento, la possibilità di aprirsi, parlare di sé e di essere ascoltati e accolti, costituiscono un’occasione importante che interrompe l’isolamento in cui la persona si trova, dovuto alla sua condizione di ammalato. L’energia vitale della persona risulta riattivata sia a livello fisico che psichico. La sensazione di benessere, accompagnata da una sensazione di maggiore scioltezza nei movimenti, miglioramento del sonno e della autonomia nei movimenti, continua anche per uno o due giorni dopo il trattamento.
Per avere più info. vai su: http://www.parkinson-italia.it/parkinson/cure-complementari/shiatsu
Angela Scognamiglio
Insegnante Shiatsu
domenica 14 settembre 2014
L'ALTRO COME PROSSIMO: DALLA RELAZIONE-LEGAME ALLA RELAZIONE DI CONTIGUITA'
Le figure
dell'Alterità come limite, concorrente, origine e destino si concretizzano
all'interno di uno scenario che è la relazione, il legame. La relazione è quel
legame emotivo che influenza il comportamento. Abbiamo una relazione quando
l'Altro "altera" il comportamento che avremmo avuto se non fosse
entrato nel nostro orizzonte, e quando a nostra volta siamo l'Altro per
l'Altro.
La relazione
così intesa è un punto di un cerchio comprendente libertà, differenza-pluralità
e realismo. Il cerchio è una forma ricorsiva
senza un punto di inizio-fine, e dove ogni punto è insieme causa ed effetto di ogni
altro.
La libertà è
quella di attuare il possibile, concedere all'Altro ed a sé il potere di essere
un punto di cambiamento, accettare che la relazione possa dirottare la vita. La
differenza-pluralità è concepire la relazione come incontro fra diversità,
interpersonali ed intrapsichiche. Il realismo è l'importanza del soggetto vero,
concreto, carnale rispetto al soggetto ideale, astratto, generale.
Cosa accade se
la relazione assume una forma "puntuale", ad arcipelago, in cui i
soggetti non si influenzano ma sono semplicemente "prossimi"? E'
frequente oggi sentir parlare di incontro e relazione anche per situazioni di
questo tipo. Per esempio, si dice che i fedeli "incontrano" il Papa,
quando diecimila persone stanno sulla piazza di S. Pietro sotto la finestra del
Pontefice. Si chiamano "colleghi" coloro che fanno lo stesso tipo di
lavoro, anche se non si sono mai parlati. Si chiamano "compagni"
quelli che militano nello stesso partito o fanno lo stesso corteo. Partecipare
allo stesso concerto della rock star di turno, fa sentire "vicini" i
presenti. Come "prossimi" si sentono quelli che assistono insieme
allo stesso struggente tramonto.
Spesso si usano
termini come "relazione e "Altro" in quelle situazioni in cui
esiste solo una "contemporaneità emozionale". Avere emozioni simili
sembra sufficiente per definire la relazione. Questa relazione non è un legame,
si scioglie allontanandosi, né implica influenza reciproca o cambiamento. La
figura prevalente qui non è il cerchio, ma l'insieme di punti inseriti in uno
stesso "campo" spazio-temporale. Anzi, spesso basta lo stesso
"campo" psicologico, cioè il vissuto di contiguità e prossimità, a
prescindere dalle variabili spazio-temporali. Ci possiamo sentire in prossimità
coi trapassati, ma anche con soggetti lontani che non abbiamo mai visto.
Il passaggio
dalla relazione-legame alla relazione-prossimità è caratterizzato da tre
elementi.
Uno è la sostituzione della dimensione reale alla dimensione ideale. Abbiamo sempre meno relazioni fra persone e sempre più relazioni fra idee. Solidarizziamo coi "disabili", senza avere alcun legame con l'anziana in carrozzina del piano di sotto. Manifestiamo per i diritti umani delle donne islamiche, senza necessariamente portare rispetto per le donne che lavorano nel nostro ufficio.
Uno è la sostituzione della dimensione reale alla dimensione ideale. Abbiamo sempre meno relazioni fra persone e sempre più relazioni fra idee. Solidarizziamo coi "disabili", senza avere alcun legame con l'anziana in carrozzina del piano di sotto. Manifestiamo per i diritti umani delle donne islamiche, senza necessariamente portare rispetto per le donne che lavorano nel nostro ufficio.
Un altro
elemento è il prevalere dei valori simile-singolare
sui valori differente-plurale. E'
"prossimo" chi sentiamo simile, e le relazioni di similarità
corrispondono ad una concezione interpersonale e intrapsichica come mono-dimensionale.
Il terzo
elemento è il determinismo, contrapposto alla libertà. Le relazioni di
prossimità danno conferme, senza cambiare. Rassicurano, facendo prevalere la
ripetizione e l'eco sulla variazione o la biforcazione.
Il passaggio
dalle relazioni-legame alle relazioni di prossimità/contiguità
è insieme effetto e causa di numerosi fenomeni che interessano la vita
quotidiana attuale. Il primo è che diminuiscono le relazioni totali a favore di
quelle parziali. Stiamo sostituendo le relazioni intime, profonde e polidimensionali con relazioni di
superficie e monodimesionali. Le
relazioni per "fare insieme" prendono il posto delle "relazioni
per essere-stare insieme". Sempre meno legami riescono a soddisfare la
pluralità dei nostri bisogni. L'urgenza dei quali viene soddisfatta
moltiplicando gli ambienti che attraversiamo. Questo offre una spiegazione
della ansiosa mancanza di tempo che sembra colpire tutti, malgrado il tempo di
lavoro sia mediamente diminuito. Quasi tutti lavorano -salvo alcune minoranze-
meno, e quasi tutti hanno meno tempo. Il fatto è che molti, di fronte alla
diminuzione delle relazioni-legame, cercano di sostituirle con situazioni di
prossimità che vengono moltiplicate: abbiamo "vicini" che condividono
con noi le esperienze di fitness, "prossimi" con cui balliamo, contigui che vivono un viaggio con noi, simili con cui abbiamo idee uguali.
Rincorriamo una miriade di figure di prossimità, per sostituire le
relazioni-legame che non siamo più in grado di, o vogliamo sempre meno,
intrecciare.
Dott.ssa Giuseppina D'Auria
Pedagogista
lunedì 1 settembre 2014
La costruzione del Sé
E’ all’interno della famiglia che ciascuno
sviluppa il senso di sé, come individuo autonomo che appartiene e può dipendere
da un certo gruppo.
La famiglia d’origine ha un ruolo essenziale
nello sviluppo del sè e dell’individuazione. Infatti, alcuni aspetti della nostra personalità vengono rinforzati, altri aspetti, invece, vengono scoraggiati, mentre altri limitati. L'aria
che il bambino respira nel suo ambiente familiare porta alla strutturazione di
elementi della personalità, del suo carattere, e del suo essere nel mondo.
Grande influenza hanno anche i messaggi non verbali, comportamentali e
gestuali; il bambino osserva e registra quotidianamente le azioni dei genitori,
e, soprattutto, nei casi di incongruenza tra parole e fatti, tenta di dare un
significato a quello che vede intorno a sé.
Le relazioni familiari contengono, intessute
tra loro, le caratteristiche della sicurezza del legame di attaccamento e
dell’intersoggettività. All’interno della relazione si promuove un senso di
sicurezza, ognuno conosce/è conosciuto, sente/viene sentito, percepisce/è
percepito, dà/riceve in modo che ognuno di queste diadi genera, alla presenza
dell’altro, un senso di sicurezza psicologica crescente
(Huges, 2007).
L’attaccamento
è un sistema che regola prima di tutto
la quotidianità, non ha a che fare con il verbale, è una procedura comportamentale, è qualcosa che
guida il comportamento, è qualcosa ci fa avvicinare a qualcuno che giudichiamo
in grado di darci una mano nel momento di difficoltà, una figura protettiva: la
figura di attaccamento. Questo avviene in situazioni in cui c’è qualche cosa
che ci fa percepire un abbassamento delle condizioni di sicurezza, e noi non ci
sentiamo più al sicuro: c’è la sensazione di pericolo e mi avvicino a qualcuno
che mi possa proteggere, aiutare, confortare. Quando non ci sentiamo al sicuro emergono
precise emozioni che fanno parte di questa quotidianità; fra queste emozioni prima di
tutto c’è la paura in quanto è l’emozione base di attivazione del sistema di
attaccamento, la paura come percezione di pericolo.
Il caregiver deve
occuparsi della regolazione affettiva del bambino (Taylor et al. 2000), ossia
deve fornire risposte adeguate ai suoi stati di attivazione emotiva,
soprattutto quando si attiva la paura, anche attribuendo a questi un preciso
significato. Questo perché, in un primo momento, il bambino, non è capace di comprendere e far fronte
autonomamente agli stimoli emotivi, o almeno a quelli che superano la sua “finestra di tolleranza” (Siegel 1999),
ovvero quelli che risultano essere eccessivamente intensi rispetto alle sue
risorse e capacità.
Dall’holding
(sostegno) materno, inoltre, deriva l’abilità di tenere se stessi nella propria
mente, ovvero, la capacità di autoriflessione e la possibilità di concepire se stessi e
gli altri come persone che hanno una mente. Il Sé si costruisce attraverso il linguaggio e l'azione, consentendo
all'individuo di autopercepirsi come un' entità dotata di rilevanza sociale e
di assumere il punto di vista dell' altro come criterio per la propria condotta: “Nel corso di questo processo il bambino diventa gradatamente un essere
sociale nella sua stessa esperienza, e agisce
verso se stesso in modo analogo a come agisce verso gli altri, e sviluppando
questa conversazione nel proprio foro interiore, dà vita a quel campo che è chiamato mente”
(Mead,1934).
Quello che l’individuo
sviluppa e si porta dentro è una mappa di come vede e percepisce se stesso, gli
altri e le sue relazioni. Secondo le parole stesse di Bowlby, “Ogni individuo
costruisce modelli operativi del mondo e
di se stesso in esso, con l’aiuto dei quali percepisce gli avvenimenti, prevede
il futuro e costruisce i suoi programmi. Nel modello operativo del mondo
che ognuno si costruisce, una
caratteristica chiave è la nozione che abbiamo di chi siano le figure di
attaccamento, di dove possano essere trovate e di come ci si può aspettare che rispondano.
Similmente, nel modello operativo di se stessi che ognuno di noi si costruisce,
una caratteristica chiave è la nostra nozione di quanto accettabili o
inaccettabili noi siamo agli occhi delle nostre figure di attaccamento” (Bowlby,
1973).
Dott.ssa Stefania Alfano
Psicologa-Psicoterapeuta
giovedì 7 agosto 2014
Famiglie psicosomatiche
La psicosomatica nasce dalla
consapevolezza che la mente e il corpo sono strettamente collegati l'una
all'altro, e che il mondo emozionale e affettivo influenzi quello fisico.
Quando si affronta il problema delle componenti
psicologiche di un disturbo psicosomatico, ci si pone in una prospettiva che
mira ad ampliare le capacità di comprensione del disturbo, allargandone
la gamma dei significati. Il disturbo somatico non è soltanto l’indice
dell’anomalo funzionamento di un organo, aspetto che non va mai dimenticato e
sottovalutato, ma diventa anche espressione di influenze psicologiche ed
emozionali che rimandano “al di là” dell’organo malato, diventa, soprattutto, manifestazione o “simbolo” di qualcosa che non è riducibile all’apparato che
non funziona ma che deve essere esplorato e compreso.
Il corpo è la prima manifestazione del Sé; è la
prima realtà soggettiva del Sé, affettivo-senso-motoria. Il Sé si costruisce
attraverso la relazione di attaccamento, ma quando questi legami di
attaccamento non compiono la loro funzione organizzatrice e regolatrice, il
bambino si sente smarrito, vive delle
angosce destrutturanti e sregolatrici, e senza nessuna possibilità di
sperimentare conforto, compromettendo, in tal modo, l’organizzazione del Sè.
Queste identificazioni primarie modellano l’architettura corporea del Sé, esse
continuano ad abitare il corpo proprio dell’adulto e a modellare i suoi
comportamenti durante tutta la vita.
Questo Sé, dunque, nasce e si sviluppa all’interno
di un sistema familiare.
Il contributo più importante dato dalle teorie
sistemiche alla psicosomatica è venuto da Salvador Minuchin, un pediatra e
psichiatra argentino che ha lavorato negli Stati Uniti e in Israele diventando
il maggior esponente dell’indirizzo strutturale della terapia familiare.
Minuchin, attraverso i suoi studi, sviluppò un proprio modello di
interpretazione dei disturbi psicosomatici basato sull’analisi della struttura
familiare (Minuchin, Rosman e Baker,
1978). Secondo questo modello, fattori stressanti possono favorire l’insorgenza
di tale disturbo e una volta che esso è comparso, tende a essere mantenuto all’interno
di una organizzazione familiare disfunzionale.
L’aspetto interessante di questo modello è che esso
non trascura le componenti mediche e biologiche della malattia, ma le integra
in una visione più complessa nella quale assume un’importanza centrale la
relazione della persona con disturbo psicosomatico e con l'intero sistema familiare. Per Minuchin, non è tanto il sintomo o la malattia
ad essere specifici, ma il modo in cui è organizzata la famiglia.
Minuchin individuò delle caratteristiche strutturali
tipiche delle famiglie psicosomatiche. Ha notato che: i componenti della famiglia hanno la tendenza
ad interessarsi eccessivamente, sono troppo coinvolti,
intrusivi ed invadenti, capita spesso, ad esempio, che uno parli al posto dell’altro (invischiamento); inoltre, in queste famiglie, ogni segnale di malessere o di malattia,
genera un alto grado di tensione che spinge la famiglia ad assumere un
atteggiamento di eccessiva protezione verso la persona sintomatica, impedendone l’autonomia, l'individualità, e lo sviluppo di interessi esterni al gruppo (iperprotettività); il nucleo familiare è fortemente
resistente ad ogni forma di cambiamento, può accadere che non appena un membro cerca di rompere
questo equilibrio precario, la famiglia diventa
molto vulnerabile e cerca di ripristinare quell'equilibrio anche se precario e non funzionale (rigidità);
tutto questo rende le famiglie poco tolleranti alle frustrazioni, i componenti della famiglia non tollerano nessuna forma di disaccordo, e i problemi vengono continuamente soffocati
al loro nascere o negati (incapacità di
risoluzione dei conflitti).
In tali disturbi, generalizzando, potremmo dire che quando il dolore non trova
sfogo nelle lacrime, altri organi lo piangono (Mauddsley). Le malattie somatiche sono quelle che più
strettamente realizzano uno dei meccanismi difensivi più arcaici con cui si
attua una espressione diretta del disagio psichico, vale a dire attraverso il corpo. In queste malattie la sofferenza, le emozioni troppo
dolorose per poter essere vissute, sentite e sperimentate, trovano una via di scarico immediata
nel corpo. La difficoltà a far venire alla luce le emozioni,
qualsiasi esse siano, è così invalidante che il corpo diventa il solo mezzo per
poter mostrare, a se stessi e agli altri, la propria sofferenza.
Dott.ssa Stefania Alfano
Psicologa-Psicoterapeuta
Dott.ssa Anna Verbicaro
Psicologa-Psicoterapeuta
giovedì 3 luglio 2014
Paura di ...
Paura di guidare un’automobile, di prendere un aereo, paura del buio, paura di …
Le paure possono essere infinite, per quanto infiniti possono essere gli oggetti o le situazioni che ci troviamo ad affrontare nella vita di tutti i giorni.
La paura è un’emozione che tutti abbiamo sperimentato nelle sue varie sfaccettature, e in relazione a diversi eventi o cose. Accompagna l’uomo fin dai suoi primi giorni di vita: un neonato ha paura dei forti rumori, un bambino di 8 mesi ha paura degli estranei; un bambino di 8 anni può aver paura del buio, e così via.
Ma cos’è la paura? La paura rientra nel gruppo delle emozioni primarie, cioè quelle emozioni che sono presenti sin dalla nascita, come anche gioia, sorpresa, tristezza e rabbia. Il termine paura viene utilizzato per esprimere sia un’emozione attuale che una emozione prevista nel futuro, oppure un semplice stato di preoccupazione e incertezza.
La paura è un sistema adattivo che modula il rapporto tra l'ambiente e l'organismo favorendo la sopravvivenza di quest'ultimo; ha una funzione positiva, così come il dolore fisico, di segnalare uno stato di emergenza ed allarme, preparando la mente il corpo alla reazione. Se la paura viene estremizzata e resa eccessivamente intensa, diventa ansia, fobia o panico, perdendo, in tal modo, la sua funzione fondamentale.
Nello specifico la paura si attiva quando i sensi percepiscono uno stimolo dannoso o potenzialmente dannoso per l'organismo, insomma quando incombe una minaccia. Alla paura segue uno stato di attivazione neurofisiologica che consente all'individuo di rispondere allo stimolo iniziale con attacco, evitamento-fuga o nella peggiore delle ipotesi con un blocco. Precisamente, si accompagna ad una attivazione del sistema nervoso autonomo parasimpatico, e si ha quindi un abbassamento della pressione del sangue e della temperatura corporea, diminuzione del battito cardiaco e della tensione muscolare, abbondante sudorazione e dilatazione della pupilla. Il risultato di tale attivazione è una sorta di paralisi, ossia l'incapacità di reagire in modo attivo con la fuga o l'attacco. Ciò accade in quelle situazioni in cui si vive la percezione soggettiva di non avere via d’uscita. Spesso, infatti, si tende a parlare della paura come di qualcosa che blocca l’individuo da qualcosa che ritiene più grande di sé, e gli impedisce di fare un salto evolutivo, facendo sperimentare all’individuo una forte sensazione di impotenza. Sono comportamenti, reazioni che appaiono come una disperata richiesta del nostro corpo e della nostra mente a ricevere sicurezza e protezione.
Dietro ad una nostra paura, per quanto inoffensiva o incontenibile sia, si nasconde una sua ragione d’essere: la paura svolge una precisa funzione, che affonda le sue origini nella storia personale di ognuno di noi. Le paure ci pongono inevitabilmente dinanzi alla necessità di compire dei salti evolutivi, e di fare delle scelte, e tutto questo fa sentire l’individuo non più al sicuro.
Vincere una paura non vuol dire cancellarla ignorandola, e neppure arrendersi impotenti ad essa. Piuttosto bisogna disporsi con uno stato d’animo aperto, avvicinare e osservare la paura con meno diffidenza e più interesse e curiosità. L’accettazione è il primo passo. Questo vuol dire non solo ammettere di avere paura, ma anche cercare di comprenderla, ascoltarla, e cercare di dare un significato al messaggio che porta con sé.
Con l’aiuto di un percorso psicoterapeutico, di un sostegno psicologico, si può uscire da questa sensazione di impotenza, e si possono costruire o rinforzare quegli aspetti fragili e vulnerabili di sé; inoltre, si possono sperimentare nuove strategie, e migliorare il proprio modo di vivere e affrontare le proprie paure. In questo modo, la paura diventa un potenziale strumento di crescita e d’evoluzione per ogni individuo che intende mettersi in gioco e trasformare quel blocco o quella fuga in capacità di ascoltare i propri bisogni fin’ora bloccati dalla paura.
Dott.ssa Stefania Alfano
Psicologa-Psicoterapeuta
martedì 1 luglio 2014
Idratiamoci a Tavola!
Con
l’arrivo del grande caldo si sa, possono arrivare anche dei piccoli
disturbi o malori dovuti all’ eccessiva e repentina perdita di
liquidi corporei. Tra le categorie più a rischio, insieme agli
anziani, ci sono bambini e donne in gravidanza, che più di tutti
necessitano di liquidi in percentuali maggiori. Il
nostro corpo è fatto di acqua ed ha bisogno di tanta acqua al
giorno, il segreto per vivere meglio, per dare più luminosità alla
pelle, per combattere la cellulite e, perché no, per perdere qualche
chiletto di troppo è proprio quello di "abbeverare" il
nostro corpo.
Il consiglio sempre valido è innanzitutto quello di
bere sempre almeno un litro e mezzo d’acqua al giorno,
costantemente e lungo tutto l’arco della giornata. L’acqua ci
depura e più ci fa bene, più ne beviamo più eliminiamo tossine. La
bevanda migliore resta l’acqua possibilmente oligominerale e con
residuo fisso sino a 200 mg/l. E’ consigliabile quindi, se non vi
sono controindicazioni, consumare in abbondanza questi alimenti. E’
inoltre importante sottolineare che spesso i bambini non sono in
grado di esprimere il loro bisogno di sete, per cui è compito dei
genitori farli
bere frequentemente,
soprattutto d’estate nel corso dell’intera giornata, oltre che
durante e dopo il gioco e l’attività sportiva. In alternativa
all'acqua è possibile consumare tè e tisane naturalmente prive di
calorie. I succhi di frutta, i centrifugati di verdura e i frullati
sono un concentrato di vitamine e sali minerali e hanno il vantaggio
di essere anche gustosi, ma attenzione vanno bevuti subito per non
perdere preziose vitamine. Apportano un discreto numero di calorie
quindi fate attenzione se siete in sovrappeso. Mangiare
verdura e frutta che contengono un’alta percentuale di fibre e
acqua, placa lo stimolo della fame, ci sazia prima e ci aiuta ancora
di più. Da oggi, idratarsi mangiando deve essere il nostro impegno.
Cominciamo consumando regolarmente zuppe, passati di verdura, thé,
tisane, ortaggi e frutta contenenti molta acqua. In alcuni alimenti,
la percentuale d’acqua arriva anche al 90% su100 grammi. Quindi
abbondiamo di contorni a base di fagiolini, peperoni, cavolfiore,
sedano, cipolle, verdura a foglia larga e insalata, finocchi,
ravanelli, cetrioli, zucca, pomodori, zucchine, melanzane, ecc. e per
frutta scegliamo agrumi in genere, cocomero, melone, ananas. Carote,
carciofi, mele, pere, susine, albicocche, uva ne contengono il 70%
circa, quindi benissimo anche questi ingredienti sulla nostra tavola
per idratarci mangiando. Le ricette con questi alimenti sono
veramente tante, cerchiamo sempre di condire poco, cuocere al vapore
o alla griglia quando possibile e spazio alla fantasia. Se siamo
costanti, se non dimentichiamo di bere, ricordandoci magari di
portarci dietro una bottiglietta d’acqua in borsa, la pelle ci
ringrazierà e si cominceranno a vedere presto gli effetti di
luminosità e anche la cellulite piano piano diminuirà. Bere
molto aiuta a completare l’azione depurativa dell’alimentazione
corretta.
Dott.ssa Mariacarmela Guerrera
Biologa Nutrizionista
mercoledì 25 giugno 2014
I bambini e lo sport: muoversi divertendosi
Lo sport è un elemento fondamentale per il sano sviluppo dei bambini, tanto da esser stato riconosciuto dalle Nazioni Unite come un diritto fondamentale. Secondo l'art. 31 della Convenzione sui diritti dell'infanzia: “Gli Stati parti riconoscono al fanciullo il diritto al riposo e al tempo libero, a dedicarsi al gioco e ad attività ricreative proprie della sua età e a partecipare liberamente alla vita culturale ed artistica [...]”.
I bambini hanno un istinto naturale a muoversi, e nel praticare una giusta attività sportiva si divertono, ma per motivarli sono necessari incoraggiamento e sostegno da parte di adulti (genitori, insegnanti, allenatori) consapevoli dell’importanza dell’attività fisica.
Nella scelta dello sport da praticare, è importante che i genitori concordino con i figli il tipo di attività fisica da svolgere e lasciare che il bambino scelga lo sport a lui più gradito, tenendo presente le sue caratteristiche strutturali, l’età ed il suo carattere. Ma accade spesso, invece, che sono i genitori a decidere per lui.
Esistono attività sportive che possono essere intraprese fin da piccoli, anche a 4-5 anni, in quanto il bambino ha raggiunto il grado di sviluppo e coordinazione necessari per apprendere le tecniche sportive; altre attività sportive, invece, richiedono uno sviluppo fisico maggiore e devono iniziare più tardi, verso gli 8 - 11 anni.
Il tema del gioco, soprattutto dai 5 agli 8/9 anni, dovrà essere preponderante, preferendo all’agonismo la collaborazione e, soprattutto, il divertimento, che se dovesse mancare potrebbe essere motivo di abbandono e di rifiuto dell’attività sportiva. È importante sottolineare però che un bambino si avvicini allo sport quando ha raggiunto una competenza motoria che gli permetta di affrontare impegno e sforzo in maniera piacevole e divertente, per non sentirsi frustrato dagli insuccessi. L'obiettivo, in ogni caso, deve essere: muoversi divertendosi.
Il tema del gioco, soprattutto dai 5 agli 8/9 anni, dovrà essere preponderante, preferendo all’agonismo la collaborazione e, soprattutto, il divertimento, che se dovesse mancare potrebbe essere motivo di abbandono e di rifiuto dell’attività sportiva. È importante sottolineare però che un bambino si avvicini allo sport quando ha raggiunto una competenza motoria che gli permetta di affrontare impegno e sforzo in maniera piacevole e divertente, per non sentirsi frustrato dagli insuccessi. L'obiettivo, in ogni caso, deve essere: muoversi divertendosi.
Praticare regolarmente uno sport favorisce nei bambini la crescita armonica del corpo e lo sviluppo della mente e della personalità; per questo lo sport rappresenta uno strumento fondamentale che i genitori possono adoperare per favorire un armonioso sviluppo fisico ed emotivo nei loro figli.
Il punto di forza dell'attività sportiva, è che contiene gli elementi importanti per lo sviluppo emotivo, per la cooperazione, e per lo spirito d'appartenenza del gruppo. Lo sport praticato dai bambini, funge da regolatore dell' emotività e delle energie negative in surplus, e ancora, favorisce la socializzazione e il rispetto delle regole, ed è fonte di aumento di autostima attraverso l’esecuzione di esercizi, il superamento di prove e gare, il confronto con i propri pari età e i feedback forniti dall’insegnante. Nell’ insegnare a definire e a raggiungere obiettivi, si favorisce l’apprendimento del rapporto tra l’impegno speso e il risultato raggiunto, questo rinforza nel bambino il proprio senso di efficacia personale. Durante l'attività sportiva, il bambino si adeguerà alle regole, assimilando degli atteggiamenti fondamentali per la convivenza civile, come accettare le critiche, obbedire agli ordini e imparare a perdere.
Lo sport è un’opportunità per uscire dall’ambiente familiare protetto, permette di creare relazioni con i coetanei e con nuovi adulti di riferimento; quindi è un ottimo strumento di socializzazione. Tutti principi, questi, che sono alla base per un sano sviluppo.
L’approccio del genitore verso l’attività sportiva del figlio deve essere di sostegno e di supporto, prestando attenzione al clima emotivo. Ma soprattutto i genitori devono cercare di valorizzare le capacità e le potenzialità del figlio, e accrescerne il senso di auto-efficacia.
Dunque lo sport non è fare solo del movimento, ma è educazione, rispetto, cultura, valori, benessere, stare insieme, accettazione dei propri limiti, valorizzazione delle proprie risorse, collaborare, mettersi alla prova, autocritica, obiettivi da raggiungere e da condividere. E' amicizia, e sana competizione. Insegna a gioire della vittoria e ad accettare l'amarezza della sconfitta, a cadere per poi rialzarsi, e soprattutto a vivere le emozioni e a saperle gestire.
Dr.ssa Stefania Alfano
Psicologa-Psicoterapeuta
lunedì 16 giugno 2014
In Equilibrio durante la Gravidanza e l' Allattamento
Seguire
un’alimentazione corretta durante il periodo della gravidanza
e
successivamente quello dell' allattamento costituisce un fattore di
grande importanza al fine di tutelare il corretto sviluppo del futuro
bambino ed una sua adeguata crescita.
Bisogna
seguire una dieta
equilibrata nei
micro e macro nutrienti e introdurre la giusta quantità di calorie
necessarie a soddisfare il bisogno energetico della mamma e del bimbo
che porta in grembo.
Ciò
non significa però, come si credeva un tempo, che bisogna “mangiare
per due”.
L’obesità
in
gravidanza provoca in più dislipidemia, iperinsulinemia, disfunzioni
vascolari e infiammazione cronica. Queste modificazioni danneggiano
l’endotelio e contribuiscono a complicare la gravidanza. Il
sovrappeso e l’obesità aumentano, infatti, il pericolo di andare
incontro a diabete gestazionale ed ipertensione.
L’ideale
è portare avanti la gestazione partendo da una condizione di
normopeso (BMI compreso tra 20-25) laddove l’aumento di peso
auspicabile sarà compreso tra 9 e 15 Kg. Nel caso in cui si partisse
da una condizione di sottopeso (BMI < 18,5) è invece auspicabile
aumentare di peso dai 12 fino ai 18 Kg. Infine, è bene ricordare
che, nel caso in cui si fosse in sovrappeso o obese (BMI > 25),
non si devono prendere durante la gravidanza più di 11 Kg.
Da
queste evidenze, appare chiaro come affidarsi ad un nutrizionista di
fiducia possa essere di aiuto per affrontare un periodo così
delicato e importante quale la gravidanza. Un altro motivo per
affidarsi ad un nutrizionista è quello relativo all’estetica della
donna che come sappiamo è messa a dura prova dalla fisiologica
ritenzione di liquidi e tensione dei tessuti a seguito del brusco
aumento e diminuzione del peso corporeo. Smagliature e cellulite sono
in agguato e appaiono più evidenti proprio quando sono troppi i kg
presi durante la gravidanza, kg che tendono spesso ad essere smaltiti
con grande difficoltà. Per evitare le smagliature,
è necessario prendere
questi kg poco alla volta e non tutti insieme; stesso discorso vale
per il dimagrimento troppo rapido che porta sempre alle smagliature
della pelle.
Per
quanto riguarda invece il discorso relativo all’allattamento,
il consiglio unanime dei nutrizionisti è da sempre quello di non
fare delle diete "fai da te" durante tale periodo. Ciò che
si teme, infatti, è che la donna vedendosi ingrassata cominci a fare
una dieta pericolosa per lei e soprattutto inadeguata per far
crescere al meglio il bambino. Dopo il parto, la maggior parte delle
donne, desiderano recuperare il peso ed il tono muscolare che avevano
prima della gravidanza. Allattare al seno aiuta già a perdere peso
in misura di un chilo al mese circa considerando un consumo di
calorie che oscilla tra 600 e 950 kcal/die per produrre 850 ml di
latte al giorno.
Una
corretta dieta moderatamente ipocalorica stilata dal nutrizionista
non influenza la produzione di latte e consente di cominciare già
durante la fase di allattamento a perdere i Kg di troppo presi
durante la gravidanza, garantendo un adeguato nutrimento al
nascituro.
domenica 1 giugno 2014
Cosa penso di me?
Molte persone si sentono inadeguati ad affrontare determinate situazioni, riportando una valutazione negativa di sé e una bassa autostima. L’autostima si può definire come un’esperienza soggettiva e stabile di valutazione del proprio valore, basata sulla considerazione che si ha di sé: “Cosa penso di me?”. A seconda della percezione che ciascuno ha di sé, l'autostima può tradursi in atteggiamenti negativi (con ansia, apprensione, senso di inadeguatezza, scarsa fiducia nelle proprie capacità) o positivi (positività, apertura agli altri e alle situazioni, assertività).
William James definisce l’autostima come il rapporto tra il Sé percepito e il suo Sé ideale: il Sé percepito equivale al concetto di sé, alla conoscenza di quelle abilità, caratteristiche e qualità che sono presenti o assenti; mentre il Sé ideale è l’immagine di quello che ci piacerebbe essere. L’ampiezza della discrepanza tra come ci vediamo e come vorremmo essere, è l’indice di quanto siamo soddisfatti di noi stessi.
Le relazioni interpersonali, la competenza di controllo sull'ambiente, il successo scolastico, l’emotività e il vissuto corporeo, sono molto importanti per lo sviluppo dell’autostima e sono le componenti che influenzano, in egual misura, la formazione dell’autostima globale.
La persona con una bassa autostima può percepirsi come un fallito, non meritevole di amore e sperimenta una lunga serie di sconfitte accompagnate, spesso, da sentimenti d’impotenza. Chi sperimenta una bassa autostima non si sente sufficientemente sicuro del proprio valore e delle proprie qualità,e capacità, evita di fare delle scelte e di conseguenza evita di agire per un eccessivo timore di sbagliare, e inoltre sperimenta maggior incertezza nel cercare una soluzione.
In pratica l’autostima, indica in che misura ci consideriamo importanti, capaci e di valore.
La formazione del proprio modo di considerarsi e definirsi, e la valutazione del proprio valore ha origine in un’età molto precoce. Nei primi anni di vita, il bambino sviluppa un’immagine di sé, in base alla percezione di una positiva o negativa relazione con le figure primarie. Questo primo scambio relazionale e la conseguente sicurezza (o insicurezza) interiore che il bambino sviluppa, sono connessi alla futura capacità di autorealizzazione. La capacità di affrontare gli eventi in momenti critici o di cambiamento, dipenderà proprio dal senso di sé che si è sviluppato in questa delicata e importantissima fase della vita. L'immagine di sé che sviluppa un individuo che ha avuto un attaccamento sicuro, è di essere una persona amabile, degna di essere amata, con buona autostima, che ha fiducia negli altri (ma non in modo indiscriminato). Sarà un individuo amabile con le persone amichevoli, difeso con chi percepisce come ostile, si prenderà cura di sé e delle persone che ama, non si affiderà alle persone che non conosce, sarà selettivo nei comportamenti empatici e nel rivelare se stesso, saprà appoggiarsi agli altri.
Mentre, bambini con modelli di attaccamento insicuro, saranno poi individui incapaci di regolare da soli i propri stati emotivi e in tal modo sperimentano un livello eccessivo di ansia, rabbia e desiderio di ricevere cure. Una bassa autostima, in genere, ha origine da precoci esperienze di rifiuto, trascuratezza, carenza affettiva, e trascuratezza emotiva.
Affermazioni espresse da persone significative, come ad esempio: “Stai sbagliando tutto”, “Se fai così non vali niente”, “Sei sempre il solito”, “Non hai ambizione”, “Mi hai deluso”, possono diventare aspetti identitari che si attivano in noi nel momento in cui dobbiamo fare delle scelte o dobbiamo affrontare una particolare situazione. La bassa autostima è come una profezia che si auto-avvera: credo che non riuscirò a fare una cosa, per cui non ci riuscirò davvero.
Quanto detto non vuol dire, però, che non possiamo modificare il nostro livello di autostima, o le nostre cognizioni negative e le emozioni legate ad esse.
La sicurezza interiore e il senso di autostima, richiedono la capacità di integrare due bisogni: il bisogno di autorealizzazione (essere se stessi) e il bisogno di appartenere. Aumentare la propria autostima significa affermare se stessi nel coraggio di essere individui autentici.
È fondamentale, prima di tutto, diventare consapevoli di questo “critico interiore”, e poi cominciare a metterlo in discussione: "Sto davvero sbagliando tutto?", "Non valgo niente?"...
Per una buona stima di sè, è importante riconoscere i propri diritti, ascoltare i propri bisogni, definire limiti e confini, considerare le proprie risorse, esprimere le proprie opinioni, prendersi cura di se fisicamente ed emotivamente, imparare a riconoscere le proprie qualità, stabilire degli obiettivi e raggiungerli. Accrescere l’autostima significa fare un passo dentro di noi, ed esplorare e riconoscere quelle risorse interne che ci permetteranno di attuare il cambiamento.
William James definisce l’autostima come il rapporto tra il Sé percepito e il suo Sé ideale: il Sé percepito equivale al concetto di sé, alla conoscenza di quelle abilità, caratteristiche e qualità che sono presenti o assenti; mentre il Sé ideale è l’immagine di quello che ci piacerebbe essere. L’ampiezza della discrepanza tra come ci vediamo e come vorremmo essere, è l’indice di quanto siamo soddisfatti di noi stessi.
Le relazioni interpersonali, la competenza di controllo sull'ambiente, il successo scolastico, l’emotività e il vissuto corporeo, sono molto importanti per lo sviluppo dell’autostima e sono le componenti che influenzano, in egual misura, la formazione dell’autostima globale.
La persona con una bassa autostima può percepirsi come un fallito, non meritevole di amore e sperimenta una lunga serie di sconfitte accompagnate, spesso, da sentimenti d’impotenza. Chi sperimenta una bassa autostima non si sente sufficientemente sicuro del proprio valore e delle proprie qualità,e capacità, evita di fare delle scelte e di conseguenza evita di agire per un eccessivo timore di sbagliare, e inoltre sperimenta maggior incertezza nel cercare una soluzione.
In pratica l’autostima, indica in che misura ci consideriamo importanti, capaci e di valore.
La formazione del proprio modo di considerarsi e definirsi, e la valutazione del proprio valore ha origine in un’età molto precoce. Nei primi anni di vita, il bambino sviluppa un’immagine di sé, in base alla percezione di una positiva o negativa relazione con le figure primarie. Questo primo scambio relazionale e la conseguente sicurezza (o insicurezza) interiore che il bambino sviluppa, sono connessi alla futura capacità di autorealizzazione. La capacità di affrontare gli eventi in momenti critici o di cambiamento, dipenderà proprio dal senso di sé che si è sviluppato in questa delicata e importantissima fase della vita. L'immagine di sé che sviluppa un individuo che ha avuto un attaccamento sicuro, è di essere una persona amabile, degna di essere amata, con buona autostima, che ha fiducia negli altri (ma non in modo indiscriminato). Sarà un individuo amabile con le persone amichevoli, difeso con chi percepisce come ostile, si prenderà cura di sé e delle persone che ama, non si affiderà alle persone che non conosce, sarà selettivo nei comportamenti empatici e nel rivelare se stesso, saprà appoggiarsi agli altri.
Mentre, bambini con modelli di attaccamento insicuro, saranno poi individui incapaci di regolare da soli i propri stati emotivi e in tal modo sperimentano un livello eccessivo di ansia, rabbia e desiderio di ricevere cure. Una bassa autostima, in genere, ha origine da precoci esperienze di rifiuto, trascuratezza, carenza affettiva, e trascuratezza emotiva.
Affermazioni espresse da persone significative, come ad esempio: “Stai sbagliando tutto”, “Se fai così non vali niente”, “Sei sempre il solito”, “Non hai ambizione”, “Mi hai deluso”, possono diventare aspetti identitari che si attivano in noi nel momento in cui dobbiamo fare delle scelte o dobbiamo affrontare una particolare situazione. La bassa autostima è come una profezia che si auto-avvera: credo che non riuscirò a fare una cosa, per cui non ci riuscirò davvero.
Quanto detto non vuol dire, però, che non possiamo modificare il nostro livello di autostima, o le nostre cognizioni negative e le emozioni legate ad esse.
La sicurezza interiore e il senso di autostima, richiedono la capacità di integrare due bisogni: il bisogno di autorealizzazione (essere se stessi) e il bisogno di appartenere. Aumentare la propria autostima significa affermare se stessi nel coraggio di essere individui autentici.
È fondamentale, prima di tutto, diventare consapevoli di questo “critico interiore”, e poi cominciare a metterlo in discussione: "Sto davvero sbagliando tutto?", "Non valgo niente?"...
Per una buona stima di sè, è importante riconoscere i propri diritti, ascoltare i propri bisogni, definire limiti e confini, considerare le proprie risorse, esprimere le proprie opinioni, prendersi cura di se fisicamente ed emotivamente, imparare a riconoscere le proprie qualità, stabilire degli obiettivi e raggiungerli. Accrescere l’autostima significa fare un passo dentro di noi, ed esplorare e riconoscere quelle risorse interne che ci permetteranno di attuare il cambiamento.
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